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domenica 29 settembre 2013

Loretta Goggi: l’impareggiabile bravura di Mia Martini. Intervista di Chez Mimì


 
Si sono da poco spenti gli echi delle ovazioni a lei tributate alla penultima replica romana, al teatro Sistina, del musical Hello, Dolly! Mi reco subito nel camerino e, dopo aver atteso a lungo il mio ‘turno’, entro a complimentarmi con lei per l’impareggiabile capacità di recitare, cantare e ballare. Loretta appare un po’ stanca per la fatica dello spettacolo, ma molto soddisfatta per lo straordinario successo decretatole dal pubblico e dalla critica sin dalla prima rappresentazione della commedia musicale. Parliamo di lei e si trova anche lo spazio per Mia Martini.

 
Anche questa sera hai dimostrato di essere l’unica artista completa dello spettacolo italiano. Sei soddisfatta dell’accoglienza del pubblico?
Sì, sono molto felice. E’ faticoso stare sulla scena per circa tre ore, però sapere che tutte le sere il teatro è esaurito  in ogni ordine di posti e che tantissima gente, come te, viene anche molto lontano a vedermi, mi riempie di commozione.
 
Provi nostalgia per la televisione, che ti ha visto protagonista per molti anni di programmi di successo?
Il modo di fare televisione oggi non mi piace più. Manco da parecchio tempo dal piccolo schermo, perché non ho ancora ricevuto proposte interessanti. Pertanto mi limito a fare alcune ‘ospitate’ solo in quei programmi, dove mi si dà l’opportunità di dare il meglio di me stessa. Preferisco, dunque, il mio meraviglioso teatro!
 
Quando tornerai in sala d’incisione?
L’anno scorso ho inciso tutte le canzoni che hai ascoltato questa sera durante lo spettacolo. E poi, non sempre è possibile cantare belle canzoni! Anzi, ti informo che è in vendita il doppio cd progettato da Paolo Piccioli; si tratta di una collection di  brani, da Maledetta primavera a Dirtelo, non dirtelo, pubblicati dal 1975 al 1991.
 
 Il presidente del fans club Chez Mimì mi ha pregato di donarti una copia dell’ultimo numero della fanzine.
Oh, cara Mimì! Conosco la fanzine, perché qualcuno mi ha già mandato qualche copia. Ringrazia affettuosamente da parte mia il presidente.
 
 
Hai avuto modo di lavorare con Mimì in diverse occasioni. Cosa pensi di lei?
Un’artista veramente straordinaria, un’interprete grande, grande! Ho avuto la gioia di averla ospite nel mio programma Via Teulada, 66 per cinque giorni. Era sorridente, disponibile, felicissima per l’enorme successo ottenuto a Sanremo con Almeno tu nell’universo. Sembrava una bambina davanti a una montagna di giocattoli tutti per lei, che non sapeva quale prendere per iniziare a giocare! I miei ricordi si riferiscono al più bel momento della sua carriera, quando ha ritrovato il meritato successo, oscurato da calunnie  e  maldicenze. Nessuna malalingua, però, ha potuto fermare la sua impareggiabile bravura e non potrò dimenticare la sua intensa interpretazione di Donna, a tal punto da farmi visibilmente commuovere.  
 

giovedì 19 settembre 2013

Intervista ad Arrigo Cappelletti. Mia Martini e il suo jazz viscerale dal carattere blues



Intervista a Arrigo Cappelletti, pianista jazz con il quale Mia Martini ha collaborato nel periodo 91/95, realizzando alcuni concerti dal vivo con brani che meriterebbero essere editati in digitale. Ecco la piacevole chiacchierata concessa al club Chez Mimì.

Come è nata la collaborazione con Mimì?
Nel ’91,  in occasione di un concerto a Torino, poco prima della sua tournèe con Maurizio Giammarco. Lei aveva lavorato con un pianista, Gilberto Martellieri, si era rivolta a Cose di Musica, chiedendo un sostituto ed è stato fatto il mio nome. Mimì è venuta a casa mia, abbiamo provato , si è creato subito un ottimo feeling musicale e anche, direi, umano. Quel primo concerto è andato molto bene, lei era piena di entusiasmo, voleva fare altre serate, però aveva già programmato la tournèe jazz estiva. Abbiamo ripreso a suonare insieme quando lei ha avuto l’invito a partecipare a Sanremo jazz e successivamente ci sono stati altri concerti. Devo dire, però, che negli ultimi tempi qualcosa si era guastato nei nostri rapporti; il tutto è nato una sera di Bologna nel febbraio ’95. Avevamo fatto un gran bel concerto, ma alla fine mi ha rivolto dei rimproveri perché mi ero mosso in modo totalmente diverso da lei. Al contrario di ciò che avevo pensato, ha continuato a chiamarmi, anche se da allora si è sempre comportata con freddezza.

Lei è conosciuto come un pianista eccellente e, soprattutto, improvvisatore. In questo rapporto di lavoro con Mimì quanto spazio veniva lasciato all’improvvisazione?
Nei nostri concerti veniva lasciato spazio all’improvvisazione, anche perché si provava molto poco. Noi avevamo in comune il fatto di essere viscerali e di sentire, quindi, la musica in modo molto diretto, naturale, istintivo. Spesse volte, proprio come due anarchici incredibili e libertari, salivamo sul palco senza avere le idee chiare, addirittura con una scaletta non definita. Chiaramente questo comportava il rischio di ritrovarsi in una serata senza che ci fosse il feeling giusto. L’anarchismo e la visceralità verso la musica erano elementi che ci univano di più. Ci sono certe registrazioni che mettono in risalto l’energia incredibile che entrambi sprigionavamo in quello che facevamo, una serata molto bella è stata quella di Portofino nel ’94 e della quale esiste una ripresa video effettuata da una emittente privata.

Durante i vostri concerti come riuscivate ad amalgamare un cocktail composto dalla voce arrochita di Mimì con uno spirito blues, da un pianista jazz e da canzoni con una tessitura melodico-pop?
Questo cocktail a volte funzionava bene ed avrebbe potuto avere degli sviluppi futuri, se ci fosse stata in lei una maggiore convinzione, ma aveva paura di questa dimensione musicale raffinata, perché teneva molto alla sua natura di cantante nazional-popolare, al suo rapporto con il grande pubblico. Aveva la sensazione che questa nostra collaborazione la portasse in una direzione un po’ troppo colta, intellettuale. Da una parte era attratta, dall’altra era scettica, Così finisco con l’isolarmi del tutto, io ho bisogno del pubblico, diceva. C’erano in lei questa ambivalenza e conflittualità tra l’esigenza di realizzare performances valide dal punto di vista artistico e di essere apprezzata e avere il successo commerciale e anche popolare; in ultima analisi aveva bisogno di questo contatto fisico con il pubblico.
 

Nel campo jazz, l’atmosfera  si raggiunge sapendo quando e come forzare i propri mezzi. C’era in Mimì questa consapevolezza o c’era magari una tendenza a strafare, ad andare un po’ sopra le righe?
La mia opinione è che Mimì avesse molta consapevolezza più di quanto potesse sembrare. Ultimamente, per problemi vocali, a volte, spingeva un po’ con la voce, quasi ad urlare e questo suo ‘forzare’ era il prodotto di una scelta artistica. Aveva scoperto che doveva cantare in un certo modo, ciò non sempre andava d’accordo con il jazz che è una musica in cui la voce deve sapere intrattenere molto. Con Mimì si può pensare ad un jazz più aggressivo, del quale accentuava la componente più viscerale ed emotiva: il modello diventava, quindi, la musica nera, ovvero il blues, piuttosto che quello europeo appartenente alle cantanti raffinate. E’ chiaro che quando si creavano atmosfere musicali più vicine al jazz io accentuavo molto il carattere blues, non mi veniva di fare degli accordi tipici di un jazz anni ’70. Il contrasto tra il mio essere un musicista ‘gemma-raffinato’, come mi riteneva lei, e la sua visceralità veniva superato nel blues che rappresentava il nostro terreno d’incontro.

Può raccontare qualche episodio o curiosità su Mimì?
Ce ne sono diversi. Eravamo andati a fare un concerto a Marrakech e al ritorno eravamo rimasti bloccati a Casablanca. Qui sono venuti fuori i suoi aspetti più caratteristici: una grande ricchezza interiore accompagnata da uno spiccato senso dell’humour. Oppure a Sanremo jazz: lei si sentiva un pesce fuor d’acqua, prima di salire sul palco ripeteva: Io non sono una jazzista, ti raccomando, fai delle introduzioni lunghe per creare l’atmosfera.  E poi, rivolgendosi al pubblico: Stasera sentirete delle cose che hanno a che fare con il jazz, come se lei non c’entrasse.

Che criterio avete seguito nella scelta dei pezzi?
All’inizio dello spettacolo, Mimì preparava canzoni tratte dal suo repertorio e cantate con le basi, come Mimì sarà di De Gregori, Hotel Supramonte di De Andrè, Almeno tu nell’universo, Gli uomini non cambiano. Insieme facevamo E non finisce mica il cielo, La donna cannone, Minuetto, Amanti, Valsinha, Suzanne, La costruzione di un amore; abbiamo inserito spesso Cu’mme, Piccolo uomo, Reginella, in una versione particolare e jazzata, ed Emozioni di Battisti. Tra i brani che sentiva molto Vedrai vedrai e Spaccami il cuore. Un momento di grande impatto emotivo era rappresentato dall’esecuzione di La vie en rose  e  Ne me quitte pas, appartenenti al repertorio di un’artista, Edith Piaf, che ben si adattava al suo pathos interpretativo e modo di esprimere. Qualche pezzo è stato proposto da me, come “Anna verrà”, che a lei piaceva molto. Abbiamo provato più volte “Una notte in Italia” di Fossati, anche se non l’abbiamo mai inserita nella nostra scaletta. E negli ultimi tempi, mi aveva anche chiesto di scegliere alcuni brani che poi avremmo discusso insieme, tratti dal repertorio di Tom Waits e Randy Newman, ma non c’è stato il tempo.

Scaletta brani:
E non finisce mica il cielo
La donna cannone
Suzanne
Valsinha
Amanti
Minuetto
Piccolo uomo
La costruzione di un amore
Vedrai vedrai
Spaccami il cuore
La vie en rose
Na me quitte pas
Anna verrà
Reginella
Emozioni
Cu’mme

Intervista realizzata da Pippo Augliera, pubblicata integralmente sulla fanzine Chez Mimì n.24 e parzialmente nel libro La regina senza trono.

lunedì 16 settembre 2013

Trionfo per Mia Martini in concerto : Mimì degli eccessi in guerra con i suoi sentimenti di Marinella Venegoni


 
La saga di una donna tormentata da
Minuetto e Piccolo uomo fino a Lacrime. Calore umano totale sincerità senza rete.

Non è certo la pazienza che manca a Mia Martini. Paragonata a quella di altri interpreti di ben minore levatura, la sua carriera artistica è stata una specie di martirio lento, un saliscendi vertiginoso punteggiato di successi forti e silenzi lunghi, ripensamenti personali e stupide maldicenze. E ogni volta, per 22 anni si è dovuta tirare su le maniche e quasi ricominciare. Per fortuna, non le manca neanche l’ironia. Ed eccola, a 45 anni e con la vittoria morale di Sanremo in tasca, debuttare con uno show maiuscolo, intitolato Per aspera ad astra, più aspera ed astra di così non sarebbe umanamente possibile.

Il primo concerto del tour, l’altra sera al Palazzo dei Congressi  di Bologna, ha rivelato un allestimento finalmente degno del personaggio. Pepi Morgia (che sta preparando il tour mondiale di Elton John) le ha costruito una regia essenziale, con pochi ed elegantissimi grandi fasci di luce bianca, un leggio, una sedia dove far talvolta quietare il sentimento del canto. Alle spalle, come un sole, la grande cipolla affettata simbolo dell’ultimo album “Lacrime”. Perché di lacrime gronda non solo l’lp, qui appena accennato, ma tutto il recital che ripercorre i successi di questa faticosa carriera: quello della matura ragazza di Bagnara Calabra è un mondo esagerato ma vivo, palpitante, credibile, e ha trovato sulla su strada gli arrangiamenti di Mark Harris, eccellente tastierista americano collaboratore di De Andrè e Gaber, che ha costruito atmosfere blues, jazz e di etno musica.

La sofisticatezza di Harris placa bene gli eccessi di Mimì, vestita Armani. Smoking nero nella prima parte, smoking bianco nella seconda, corta zazzera nera. Calore umano totale, sincerità senza rete. In sala, urli e invocazioni partecipi di un pubblico misto, ragazzi, coppie eleganti e pittoreschi travestiti, gente che vive i sentimenti in modo maiuscolo, proprio come li canta lei che però sempre si concede una via di fuga con una risata amara. Stazioni di un rosario sull’universale cattiveria maschile, le canzoni cominciano con la sanremese Gli uomini non cambiano e subito si proiettano all’indietro con Padre davvero qui in un lamento blues. Mia chiede: ‘Ma sei sicuro che sia tua figlia?’, fra interrogativi devastanti a catena, un po’ confusa appare Piccolo uomo, grande successo 1972. A volte è rovinosa l’ansia di trasformare un brano troppo sentito. Un delicato tocco di cembalo elettronico ripropone Minuetto (‘Vieni sempre a casa mia/ quando vuoi/ sono sempre fatti tuoi) e Inno è un incontro elegante di basso, batteria e canto. Mia sostiene di esser senza voce, ma bisogna vedere con che classe domina le raucherie e le trasforma in sussurri dolenti.

venerdì 6 settembre 2013

Le Grandi Voci: Mia Martini (Estensione, versatilità, tecnica, interpretazione)


 
La carica emozionale caratterizza in modo molto personale i brani interpretati da Mia Martini. La critica è stata concorde nel riconoscere il talento e la grande versatilità vocale di Mia Martini, soprattutto negli ultimi anni della carriera.

 
La versatilità della voce

L’intera carriera di Mia Martini testimonia di una vocalità multiforme e capace di modificarsi con l’evolversi della tecnica e degli interessi musicali. All’inizio degli anni Sessanta, con il nome di Mimì Bertè, venne scelta da Carlo Alberto Rossi per incarnare le illusioni e la voglia di vivere della generazione di adolescenti che stava progressivamente diventando il nuovo punto di interesse dei discografici. Aveva poco più di quindici anni e la sua voce squillante, ma priva di particolari sfumature, si confrontava con motivetti di scarse pretese come “E adesso che abbiamo litigato” o “Il magone”. L’immagine era quella di una delle tante protagoniste ‘usa e getta’ di un genere, il cosiddetto yè yè, destinato a tramontare rapidamente per lasciare il posto a nuove musicalità filtrate dall’irrompere prepotente sulla scena musicale dell’esplosiva esperienza del rock. La caratteristica dei cantanti di questo genere era la loro sostanziale intercambiabilità: volto da adolescente ribelle ma non troppo, un filo di trucco, una tecnica in base ai limiti della sufficienza, il tutto accompagnato da arrangiamenti leggeri e ritmati. Non erano in molti a scommettere sul futuro di questa ragazzina, tanto che nessuno si sorprese della sua rapida scomparsa dalle scene. In realtà il silenzio nascondeva un periodo di studio destinato a determinare una vera e propria rivoluzione vocale e interpretativa. Al Festival d’Avanguardia e Nuove Tendenze di Viareggio, nel 1971, pochi riconobbero in quella Mia Martini che, accompagnata da una solida formazione rock costruita attorno al batterista inglese Gordon Faggetter, aveva entusiasmato pubblico e critica, la stessa Mimì Bertè sbarazzina e spensierata degli anni Sessanta. Dal bozzolo dell’adolescente impacciata era nata una nuova farfalla, con una gestualità provocatoria e una voce ricca di sfumature, estremamente duttile e capace di interpretare efficacemente le inquietudini delle giovani generazioni di quegli anni. L’album OLTRE LA COLLINA è ancora oggi una straordinaria testimonianza di come la sua vocalità potesse essere il punto d’incontro tra generi e tecniche diverse, portando a sintesi l’esperienza del rock, del rhythm and blues e della musica leggera italiana. I suoni sporchi e il linguaggio provocatorio di brani come “Padre davvero” o “Amore…amore…un corno!” si mescolavano con la limpida vocalità di canzoni come “Gesù è mio fratello”. Determinante in questa evoluzione fu anche la collaborazione con il quartetto nero dei Four Kents che parteciparono alla registrazione dell’album. Da quel momento iniziò un ulteriore processo di crescita, destinato a portarla rapidamente al vertice delle classifiche. Svestiti progressivamente i panni della provocazione, si trasformò in un’interprete di classe di brani sempre più impegnativi. Più del mutevole consenso del pubblico, i premi della critica, raccolti in grande quantità soprattutto negli ultimi anni della sua lunga e tormentata carriera, stanno a dimostrare il talento e la grande versatilità vocale di quest’artista cui non fecero mai difetto né il coraggio di rinnovarsi, né la caparbietà.

 L’estensione vocale

La capacità della voce di Mia Martini di misurarsi con salti di tono piuttosto impegnativi non è sorretta da una grandssima estensione naturale anche se le tre ottave sono tranquillamente alla sua portata. Essa è piuttosto da ricercarsi nell’abilità di migliorare le sue già buone doti di fondo con lo studio e l’applicazione, a dimostrazione di come lo strumento voce sia un meccanismo duttile e suscettibile di grandi progressi. L’urlo blues strozzato e angoscioso delle sue prime interpretazioni degli anni Settanta diventa, con il procedere della carriera, un acuto grintoso sostenuto da un’emissione di notevole potenza e da un eccellente vibrato.
 

 
La tecnica vocale

Trascurando per ovvie ragioni d’inconsistenza musicale, il periodo adolescenziale dei primi cimenti artistici, dal punto della tecnica vocale la carriera di Mia Martini può essere divisa in due momenti fondamentali. Il primo, rappresentato dall’album OLTRE LA COLLINA, è quello nel quale prevale la scelta di dare i colori del blues alle melodie del nascente rock italiano. In questo periodo la sua voce affronta in modo diretto, senza l’addolcimento del vibrato, le spigolosità dei brani che interpreta. Il suo rapporto con la musica e il testo delle canzoni è diretto e di grande drammatizzazione. La voce, carica d’emozione, si fa roca sulle tonalità basse e, quando l’interpretazione lo richiede, sa diventare un urlo inquietante sui toni alti. Già in “Piccolo uomo”, però, non è più così. Il vibrato inizia a sostenere la potenza dell’emissione e la voce incrementa la gamma delle proprie sfumature. Le variazioni improvvise di volume, l’uso misurato della potenza diventano, con il passare degli anni, una caratteristica costante dell’interpretazione, anche se si nota una certa riluttanza a modificarne la personalità timbrica, Mia Martini resta sempre se stessa. Come le grandi cantanti jazz, non usa la tecnica vocale per adattarsi alle esigenze dei brani interpretati, ma, al contrario, attinge al proprio patrimonio di conoscenze musicali per disarticolarli e farli diventare parte di sé. Esemplare, a questo proposito, è l’album MIEI COMPAGNI DI VIAGGIO, nel quel riesce a dare una nuova e originale personalità a canzoni famosissime di grandi autori internazionali.