La carica emozionale caratterizza in modo molto personale i
brani interpretati da Mia Martini. La critica è stata concorde nel riconoscere
il talento e la grande versatilità vocale di Mia Martini, soprattutto negli
ultimi anni della carriera.
L’intera carriera di Mia Martini testimonia di una vocalità
multiforme e capace di modificarsi con l’evolversi della tecnica e degli
interessi musicali. All’inizio degli anni Sessanta, con il nome di Mimì Bertè,
venne scelta da Carlo Alberto Rossi per incarnare le illusioni e la voglia di
vivere della generazione di adolescenti che stava progressivamente diventando
il nuovo punto di interesse dei discografici. Aveva poco più di quindici anni e
la sua voce squillante, ma priva di particolari sfumature, si confrontava con
motivetti di scarse pretese come “E adesso che abbiamo litigato” o “Il magone”.
L’immagine era quella di una delle tante protagoniste ‘usa e getta’ di un
genere, il cosiddetto yè yè, destinato a tramontare rapidamente per lasciare il
posto a nuove musicalità filtrate dall’irrompere prepotente sulla scena
musicale dell’esplosiva esperienza del rock. La caratteristica dei cantanti di
questo genere era la loro sostanziale intercambiabilità: volto da adolescente
ribelle ma non troppo, un filo di trucco, una tecnica in base ai limiti della
sufficienza, il tutto accompagnato da arrangiamenti leggeri e ritmati. Non
erano in molti a scommettere sul futuro di questa ragazzina, tanto che nessuno
si sorprese della sua rapida scomparsa dalle scene. In realtà il silenzio
nascondeva un periodo di studio destinato a determinare una vera e propria
rivoluzione vocale e interpretativa. Al Festival d’Avanguardia e Nuove Tendenze
di Viareggio, nel 1971, pochi riconobbero in quella Mia Martini che,
accompagnata da una solida formazione rock costruita attorno al batterista
inglese Gordon Faggetter, aveva entusiasmato pubblico e critica, la stessa Mimì
Bertè sbarazzina e spensierata degli anni Sessanta. Dal bozzolo dell’adolescente
impacciata era nata una nuova farfalla, con una gestualità provocatoria e una
voce ricca di sfumature, estremamente duttile e capace di interpretare
efficacemente le inquietudini delle giovani generazioni di quegli anni. L’album
OLTRE LA COLLINA è ancora oggi una straordinaria testimonianza di come la sua
vocalità potesse essere il punto d’incontro tra generi e tecniche diverse,
portando a sintesi l’esperienza del rock, del rhythm and blues e della musica
leggera italiana. I suoni sporchi e il linguaggio provocatorio di brani come
“Padre davvero” o “Amore…amore…un corno!” si mescolavano con la limpida vocalità
di canzoni come “Gesù è mio fratello”. Determinante in questa evoluzione fu
anche la collaborazione con il quartetto nero dei Four Kents che parteciparono
alla registrazione dell’album. Da quel momento iniziò un ulteriore processo di
crescita, destinato a portarla rapidamente al vertice delle classifiche.
Svestiti progressivamente i panni della provocazione, si trasformò in
un’interprete di classe di brani sempre più impegnativi. Più del mutevole
consenso del pubblico, i premi della critica, raccolti in grande quantità
soprattutto negli ultimi anni della sua lunga e tormentata carriera, stanno a
dimostrare il talento e la grande versatilità vocale di quest’artista cui non
fecero mai difetto né il coraggio di rinnovarsi, né la caparbietà.
La capacità della voce di Mia Martini di misurarsi con salti
di tono piuttosto impegnativi non è sorretta da una grandssima estensione
naturale anche se le tre ottave sono tranquillamente alla sua portata. Essa è
piuttosto da ricercarsi nell’abilità di migliorare le sue già buone doti di
fondo con lo studio e l’applicazione, a dimostrazione di come lo strumento voce
sia un meccanismo duttile e suscettibile di grandi progressi. L’urlo blues
strozzato e angoscioso delle sue prime interpretazioni degli anni Settanta
diventa, con il procedere della carriera, un acuto grintoso sostenuto da
un’emissione di notevole potenza e da un eccellente vibrato.
Trascurando per ovvie ragioni d’inconsistenza musicale, il
periodo adolescenziale dei primi cimenti artistici, dal punto della tecnica vocale
la carriera di Mia Martini può essere divisa in due momenti fondamentali. Il
primo, rappresentato dall’album OLTRE LA COLLINA, è quello nel quale prevale la
scelta di dare i colori del blues alle melodie del nascente rock italiano. In
questo periodo la sua voce affronta in modo diretto, senza l’addolcimento del
vibrato, le spigolosità dei brani che interpreta. Il suo rapporto con la musica
e il testo delle canzoni è diretto e di grande drammatizzazione. La voce,
carica d’emozione, si fa roca sulle tonalità basse e, quando l’interpretazione
lo richiede, sa diventare un urlo inquietante sui toni alti. Già in “Piccolo
uomo”, però, non è più così. Il vibrato inizia a sostenere la potenza
dell’emissione e la voce incrementa la gamma delle proprie sfumature. Le
variazioni improvvise di volume, l’uso misurato della potenza diventano, con il
passare degli anni, una caratteristica costante dell’interpretazione, anche se
si nota una certa riluttanza a modificarne la personalità timbrica, Mia Martini
resta sempre se stessa. Come le grandi cantanti jazz, non usa la tecnica vocale
per adattarsi alle esigenze dei brani interpretati, ma, al contrario, attinge
al proprio patrimonio di conoscenze musicali per disarticolarli e farli
diventare parte di sé. Esemplare, a questo proposito, è l’album MIEI COMPAGNI
DI VIAGGIO, nel quel riesce a dare una nuova e originale personalità a canzoni
famosissime di grandi autori internazionali.
L’interpretazione
Mia Martini sembra parlare attraverso la musica. La sua
intensità interpretativa dà vita alle canzoni e le fa diventare parte di una
serie di messaggi lanciati al suo pubblico. Sono segnali di grande sofferenza
interiore che, soprattutto negli ultimi anni, Mia non tenta di nascondere e che
diventano una parte importante delle sue caratteristiche artistiche. La sua
vita, segnata da tradimenti, da incredibili persecuzioni ed esclusioni, entra
di prepotenza nei canoni interpretativi conferendo loro una drammaticità
palpabile. La rutilante gestualità che ha supportato le interpretazioni dei
primi anni della sua carriera si trasforma con gli anni in un atteggiamento più
sobrio e ricco di quella eleganza e dignità che rendono grandi le persone che,
pur soffrendo, non vogliono fare del proprio dolore una bandiera. Tutto ciò
aggiunge intensità alla sua interpretazione che, ridotta la gestualità al
minimo, trova nella voce e nell’espressione del viso un canale privilegiato di
comunicazione con il pubblico.
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