In attesa che venga finalmente pubblicato l’inedito di Mia
Martini, Fammi sentire bella, firmato da Giancarlo Bigazzi, e di proprietà
dell’etichetta Sugar, gestita da Caterina Caselli e dal figlio, pubblichiamo un
articolo di Cesare G. Romana, scritto qualche giorno dopo la scomparsa della grande
interprete, in cui viene la cantante/discografica viene intervistata, insieme a Gino Paoli e Ornella Vanoni,
esprimendo il suo atto d’accusa nei confronti dell’atteggiamento crudele da
parte del mondo dello spettacolo.
La verità è che tutti, ma proprio tutti noi della musica,
siamo stati dei mascalzoni. Caterina Caselli non usa mezzi termini, il suo
j’accuse arriva perentorio e spietato e non risparmia nessuno, neppure lei. Io
lo sapevo – dice – quanto ha sofferto Mimì, lo sapevamo tutti, noi
dell’ambiente. Si sarebbe dovuto aiutarla, difenderla dalla cattiveria che le
montava intorno e la rendeva sola e inerme. E invece..
Freme di sdegno, attraverso il filo del telefono,
l’inconfondibile voce profonda della cantante famosa, divenuta discografico di
successo. Ed è uno sdegno che odora di spietata autocritica. Non si può dire
che con lei – aggiunge Caterina – ci siamo comportati bene. Che l’abbiamo
aiutata a sostenere il peso di una famigli così sfortunata, di una bravura non
sempre riconosciuta, ma soprattutto di quella fama crudele che la perseguitava,
perché si sa, nel nostro ambiente certe voci uccidono, è meglio essere ritenuto
un assassino che uno iettatore. E noi avremmo dovuto impedirlo, che Mimì
venisse considerata così.
Eppure, come non rammentare quel festival di Sanremo in cui
- eravamo alla fine degli anni Ottanta –
arrivò Eduardo De Crescenzo con una gamba ingessata, Dori Ghezzi aveva un
polipo in gola, alcuni cantanti si trovarono a cantare rauchi e febbricitanti.
Tra gli artisti in gara c’era Mimì, e i suoi detrattori ebbero buon gioco
nell’attribuire alla sua presenza quella catena di indisposizioni che, pure si
sarebbero potute legare ai rigori dell’inverno, o ai capricci del caso. Qualche
giornale fece capire che una sorta di nemesi pareva essersi abbattuta su
Festival. Nemesi con un none e un cognome, che nessuno osò scrivere ma che
tutti intuivano. Anche se, a spiegare la catena di malanni, sarebbe bastato il
clima insolitamente impietoso che, quell’anno avvolgeva Sanremo, la neve
ammonticchiata ai margini delle strade.
E lei? Non reagì a quell’ondata di maldicenze. Come non
aveva reagito quando si disse di un suo fonico folgorato al mixer, o di un
produttore rimasto vittima – si mormorava – di malefici influssi. Era una
donna, Mimì, che le sofferenze preferiva tenersele dentro. Solo dopo molti anni
le sarebbe scappato di dire: Sarebbe molto meglio avere l’Aids che essere
considerata una iettatrice, una malattia la puoi affrontare, curare’ E poi
l’Aids le avrebbe procurato meno solitudine di quanto non abbia fatto quella
fama sinistra, quella credenza demenziale – come diceva in questi giorni
Adriano Aragozzini, l’impresario che nel 1989 “osò” richiamarla a Sanremo – che
l’ha uccisa.
Si ritorna così al tema della solitudine, leit motiv di
questa tragedia che pare scaturita da superstizioni arcaiche e invece si è
consumata alle soglie del Duemila. Dice Mario Ragni, discografico: La conobbi
anni fa, mi colpì il fatto che desse a tutti, anche a gente che non conosceva,
il numero del suo telefonino che, di solito, i cantanti tengono rigorosamente
segreto. Evidentemente aveva un bisogno disperato di comunicare, quel bisogno
insoddisfatto che l’ha fatta morire di desolazione o di crepacuore.
Ieri, ai funerali di Mia Martini, non c’era Caterina
Caselli. Ho troppa amarezza e troppa rabbia, dice, e non c’era Gino Paoli.
Anni fa, certa stampa spacciò per vera una dubbia love story tra il cantautore
ligure e la cantante calabrese, che stette al gioco, divertita. Oggi Gino
ricorda la vecchia amica col pianto in gola. In questo mondo bisogna anche
esser forti – mormora – non so se è stato il suo caso, ma capita di essere
assassinati dall’incapacità di vivere, oltre che dal disinteresse degli altri.
Ecco, se ora ripenso a Mimì, provo tristezza, ma anche rimorso.
Anche Ornella Vanoni, amica e collega, ritorna sul tema del
delicato equilibrio psicologico della cantante e della sua vita sfortunata:
Conoscevo bene Mimì – ha detto, chiamandola con l’affettuoso soprannome che
aveva nell’ambiente musicale – l’ho vista nascere, mollare, tornare a nascere.
Quando ci eravamo incontrate l’ultima volta, in autunno, mi aveva dato
l’impressione di una donna disperata, che faceva ormai una gran fatica a
vivere. Anch’io, in un periodo della mia vita ho fatto fatica ad andare avanti,
e conosco certe facce, certe espressioni. Non so come sia morta, ma non
dimenticherò quel viso, il suo senso straordinario, più da musicista che da
interprete. Quando cantava, la sua intensità espressiva era enorme. Come se si
aggrappasse alla canzone per sopravvivere.
Cesare G. Romana Maggio 1995
Mia Martini: una donna distrutta dalla cattiveria degli ‘amici’ di Diego Dalla Palma http://questimieipensieri.blogspot.it/2013/08/mia-martini-una-donna-distrutta-dalla_27.html
Malcostume italiano. L’ostracismo a Mia Martini. Articolo di Nantas Salvalaggio
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