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martedì 22 marzo 2011

Mia Martini. Bentornata Mia. Intervista su Blu/89


Per molti anni è stata tenuta nascosta, quasi azzittita da un ambiente ostile e maligno. Lei Domenica Bertè, Mimì per gli amici, Mia Martini per il pubblico, aveva dimostrato agli inizi degli anni settanta che la musica cosiddetta leggera poteva avere una dignità insospettata. Oggi si fa presto a osannare una Mannoia, una Mina o una Oxa. Poco più di dieci anni fa avere un successo con una canzone d’amore (e d’autore) era quasi una colpa. Mia già allora cantava con uno spirito tutto diverso, tutto cantautore, tutto suo . I suoi album racchiudevano pezzi dignitosissimi di autori in erba ma che proprio con lei sono diventati famosi. Come Maurizio Fabrizio o Dario Baldan Bembo. Eppure quella che rimane oggi la voce più interessante femminile italiana, ha taciuto per tantissimo tempo. Nell’81 “Mimì” la trovava autrice di se stessa. Paolo Conte le regalava “Spaccami il cuore” bocciato a qualche festival di Sanremo. Ivano Fossati le scriveva fra le altre “E non finisce mica il cielo”. Un album dal vivo suonava come un testamento prematuro e tutti erano sicuri che Mia aveva deciso di appendere al chiodo la sua voce, schiacciata dalle mille difficoltà. Nel frattempo Loredana Bertè, la sorella irrequieta, si faceva largo combinandone di tutti i colori, e a volte anche azzeccando qualche colpo giusto; è Mia, quasi di nascosto, che le fa i cori in “Non sono una signora”.

Nel 1983 Mia si trasferisce in una casa di campagna, a Calvi dell’Umbria, e per molti è una sorta di auto-esilio. Lo scorso anno la ritroviamo invece a sorpresa a Napoli dove registra dei provini con delle canzoni di Enzo Gragnaniello. Poi Sanremo ’89 fra tante malefatte, ne fa una buona e ci riporta Mia Martini con “Almeno tu nell’universo” brano firmato a quattro mani da Bruno Lauzi e Maurizio Fabrizio.
Il nuovo album è un tuffo rinnovato nella voce e nella sensibilità che ci avevano tanto appassionato in passato. Ci sono momenti di intellettuale lirismo (“Notturno”, “Il colore tuo” e “Amori” di Armando Trovajoli che Maurizio Fabrizio le ha costruito intorno con un’orchestra da George Gershwin). C’è una sua composizione “Spegni la testa” dal titolo fin troppo rivelatorio. E poi tre pezzi di Gragnaniello di cui almeno due (“Donna” e “Strade che non si inventeranno mai da sole”) di grande impatto.

Un ritorno atteso? Più che altro inaspettato. Come questa intervista che parte parlando dei libri che popolano una tranquilla casa di campagna.
°Mi piace molto leggere, rimango talmente tanto coinvolta dalla lettura di un libro che quando sto per arrivare alla fine, un po’ mi dispiace. E’ come lasciare un amico, qualcuno che ti ha tenuto compagnia per un po’ di tempo. Mi mette tristezza finire un libro.

D:Quali sono i libri che preferisci?
°Guarda, leggo dei libri che sono dei mattoni. Innanzitutto, non mi piacciono i romanzi, la narrativa, tranne cose come “La montagna incantata” o “Cent’anni di solitudine”. Mi piace tantissimo Eco, lo so che è di moda dirlo, ma per questa volta seguo la moda. E poi mi piace leggere Shakespeare, trattati di psicanalisi, terribili come “L’io della mente” o “I King”, oppure leggere la storia del Cenacolo di Leonardo da Vinci. Delle cose terrificanti! Ma anche letterature dialettali calabresi, siciliane e napoletane. E infatti sono piena di dizionari di molti dialetti italiani. Quello napoletano è il più facile da trovare, mentre per quello calabrese ho cercato anni per scoprire alla fine che ne esiste solo uno veramente completo ed è scritto da un tedesco!

D:E queste letterature ti aiutano nella tua musica?
°Certamente, tutto quello che mi da emozioni mi aiuta. La musica non è fatta di poche cose, m di tutto quello che respiri, quello che ti sta intorno.

D:Torniamo per un momento indietro, agli inizi della tua carriera. Nel 1970 hai vinto il Festival di Nuove tendenze di Viareggio. Cosa succedeva allora?
°Succede una rivoluzione completa nei gusti e nei costumi. Ci fu un cambiamento totale, si respirava aria di rinnovamento. Per molti anni si è seguita quella strada, anche perché una seconda volta, a livello di contenuti non c’è più stata. Se c’è stato un cambiamento, è stato a livello tecnico.

D:Chi erano gli amici di allora, gli artisti che frequentavi?
°Sono in gran parte gli stessi di oggi, come Francesco De Gregori o per la stampa Fabrizio Zampa.

D:E Renato Zero?
°L’amicizia con Renato risale ancora prima. Abbiamo vissuto praticamente insieme quando avevamo sedici anni a Roma. Artisticamente non ho mai fatto nulla con lui, faceva parte della mia vita. Ha lavorato con Loredana, e poi è diventato grandissimo dopo molti anni. Quest’anno, prima del Festival di Sanremo, si era parlato di una nostra collaborazione. Era un’idea di Renato, che poi non si è realizzata principalmente a causa mia. Non volevo che la nostra amicizia inquinasse il lavoro, anche perché non giustifica una collaborazione. Queste mie perplessità sono poi svanite quando lui è partito per Londra per registrare il suo prossimo album con Westley e io mi sono affrettata a finire il mio disco.

D:Nel tuo primo album, “Oltre la collina” compariva un timido Baglioni alle prime armi, come te lo ricordi?
°Con Baglioni c’è stata una magnifica collaborazione. Già allora faceva delle cose splendide che però non venivano capite e assecondate dai discografici. Il nostro incontro fu guidato da Antonio Coggio che era produttore di entrambi. “Oltre la collina” era proprio una poesia bellissima che lui aveva scritto e che chiude l’LP. Ma c’erano anche altri pezzi suoi, come “Le lacrime di Marzo”; “Gesù è mio fratello”, “Ossessioni”, dove abbiamo anche cantato insieme che era il famoso “Taking Off”. Claudio è stato un po’ la base di quell’album che ancora oggi amo da morire.

D:Poi è arrivato “Piccolo uomo” che era di Bruno Lauzi come “Almeno tu nell’universo”.
°Ed è stata un’altra avventura. Arrivavo dagli studi della RCA di Roma ad incidere a Milano per la Ricordi. In quel periodo conobbi Giovanni Sanjust, un manager con cui sono tornata insieme proprio in questi ultimi tempi.

D:Nell’album “Nel mondo, una cosa” c’erano due cover importanti di due brani, uno di Elton John e uno di John Lennon.
°Sì, “Mother” di Lennon di cui avevo tradotti il testo e “Border song” di Elton John. Sono due autori che già allora mi facevano impazzire. Lennon l’ho amato tantissimo, tanto che per lui cominciai ad interessarmi anche a Yoko Ono. Anni fa ero talmente dentro la musica di Yoko che avevo pensato di tradurre qualche sua canzone. Mi piaceva la sua semplicità, il suo modo di arrivare dritta al nocciolo della questione. A quell’epoca Yoko Ono era vista come un nemico ei sostenitori dei Beatles. Io ho sempre pensato che una donna ch gli aveva ispirato “Woman is the nigger of the world” non poteva essere una nullità. Poi nei mesi scorsi ho letto quel brutto libro su John di Albert Goldman e mi sono convinta che è stata lei a farlo uccidere, ne sono proprio sicura. Ed ora non mi piace più.

D:Ma era difficile agli inizi degli anni settanta imporre nel proprio repertorio una canzone di Lennon?
°Io non mi sono mai posta questi problemi, ho sempre fatto le cose che mi piacevano. Non ho mai pensato di assecondare le richieste di nessuno, tantomeno del pubblico. Non lavoro al supermercato. Ho sempre fatto le mie proposte che a volte sono piaciute e a volte no, ma io ci ho sempre creduto.

D:Eppure spesso, l’ambiente musicale è un supermercato.
°Perché molti artisti e produttori vengono incanalati in un negozio a seconda dei consumi. Chi va a finire nel negozietto artigianale, chi alla Standa. Ci sono tipi di prodotti per tutti.

D:E il negozio che tu hai frequentato più spesso?
°Quello di hi-fi, inteso proprio come alta fedeltà.

D:Continuando a scavare fra i tuoi album, arriviamo a “Il giorno dopo”…dove c’era “Minuetto”, un altro pezzo di Elton John, “Your song”, e “Ma quale amore” di Antonello Venditti. Di Venditti so che dovevi interpretare un altro brano, “Ruba”, che poi non è mai stato pubblicato…
°Come fai a saperlo? Io non me lo ricordavo più. Avevo fatto il provino e da qualche parte ce lo dovrei avere ancora. Anzi, mi hai dato un’idea, se riesco a trovarlo mi piacerebbe vedere di inserirlo nei miei prossimi concerti. Antonello era un altro del gruppo di allora. Mi ricordo anche dei fratelli La Bionda, Dario Baldan Bembo, Maurizio Fabrizio, Maurizio Piccoli.

D:Poi nel 1978 c’è stato un album importantissimo, “Danza”, fatto insieme a Ivano Fossati.
°E’ stato come uno sconvolgimento tellurico per me quel disco. Sono cambiati i miei pensieri, la mia testa. La copertina sintetizzava questo mio nuovo corso umano e artistico: uno stivale di gomma giallo che dava un calcio ad una coppa di champagne. E’ un album che amo molto, ma dentro c’è tanto dolore, perché da lì, più o meno sono cominciati dieci anni di una storia sconvolgente con Ivano.

D:Ci sono state difficoltà a livello discografico per portare avanti quel disco?
°Sì, ma da quel momento la difficoltà maggiore diventò il nostro rapporto personale, che era veramente pazzesco.

D:Hai mai avuto problemi discografici volendo lavorare con artisti e autori che non rientravano nella squadra della tua casa discografica?
°Sempre. Infatti la mia prima causa, quella che poi mi ha distrutto la vita, è nata da una questione di principio: avevo avuto la proibizione della Ricordi di fare pezzi di autori non compresi nel contratto editoriale Ricordi. Addirittura il brano “Questi miei pensieri” l’ho inciso di nascosto, e con uno stratagemma siamo riusciti a farlo pubblicizzare senza che si accorgessero che non era roba loro. Era diventato impossibile lavorare. Per qualcuno non si trattava proprio di musica e anzi se parlavo di scelte artistiche ti mettevano subito al palo.

D:Dopo altre peripezie, hai cominciato a scrivere da sola le tue canzoni.
°Ho sempre scritto qualche testo fin dall’inizio. Quando ho cominciato in maniera massiccia è stato per crearmi un alibi per allontanarmi gradualmente dall’ambiente. All’inizio non ci credevo molto, poi mi sono appassionata.

D: Chi ti ha spinto a scrivere?
°Sicuramente Ivano, ma poi tutte le cose improvvisamente mi sembravano lo spunto giusto per scrivere.

D:In quegli anni la tua vita era resa ancora più dura da una serie di voci orribili sul tuo conto, in pratica eri diventata una persona portasfortuna.
°Esatto. Una serie di coincidenze hanno creato questa fama che oltre ad essere assolutamente falsa, è decisamente pesante da portare. Forse ho sbagliato io all’inizio che per sdrammatizzare enfatizzavo la situazione. Mi sono trovata in trappola e ancora oggi sento una certa ostilità nei miei confronti. Mi sento boicottata.

D:Per tutti Mia Martini aveva deciso di ritirarsi, di non cantare più.
°Ma per fortuna la mente umana non è così decisa, non c’è nulla di assoluto.

D:Cosa ti aveva spinto veramente a ritirarti?
°La stessa cosa che mi aveva portato all’alibi dello scrivere, a sentirmi a tutti i costi cantautrice. Il bisogno di prendere un po’ di tempo per me stessa. In quegli anni avevo vissuto tutto troppo velocemente, avevo bisogno di prendere un respiro profondo.

D:E in questo ritiro hai praticamente saltato molte stagioni musicali, una cosa che tutto sommato è servita a mantenerti integra nelle tue posizioni.
°Forse vuoi dire che sono riuscita a non contaminarmi? Vero, anche se dubito che mi sarei contaminata. Ma in un certo senso mi sono tenuta lontana da molti veleni…

D:…E da molte imposizioni che oramai subiscono anche i grandi, i nomi fino a ieri inviolabili.
°Forse mi sarebbe venuto il cancro! Oggi sto finalmente bene, e credimi ho passato dei momenti in cui ero veramente ammalata.

D:Da questo nuovo album, dove compaiono ben tre pezzi di Enzo Gragnaniello, traspare un amore sconfinato per la musica napoletana.
°C’è sempre stato. Amo moltissimo Napoli e i napoletani e credo che se non esistessero bisognerebbe inventarli perché sono intelligenti e fantasiosi. Anche nel luogo comune del piccolo truffatore napoletano, non c’è mai violenza, è sempre un gioco fra due cervelli, il napoletano ti da un’alternativa, ti fa capire che sta tentando di fregarti, e se poi ci riesce ha ragione lui.

D:Chi ti piace fra i musicisti napoletani?
°In senso assoluto Pino Daniele. Un grande artista mi piace sempre anche nelle sue contraddizioni, proprio perché in queste puoi vedere la sofferenza e la maturazione. Pino senz’altro ha vissuto chissà quanto intensamente diverse situazioni, altrimenti non avrebbe potuto darci stupende emozioni che ci ha dato, e quindi anche quelli che sono sembrati momenti di rilassamento in realtà sicuramente nascondevano una ricerca, una verifica di qualcosa.

D:Quindi la sofferenza è necessaria al momento creativo…
°Per crescere sì. Ma non è una cosa che si fa a fini artistici. Credo che il legame fra artista ed essere umano dovrebbe essere indissolubile, bisogna crescere da tutte e due le parti, altrimenti si rimane zoppi non si può essere Pino Daniele solo da una parte.

D:Cosa ti aspetti da questo disco?
°Che piaccia molto, moltissimo.

D:C’è stata molta emozione al Festival di Sanremo. E’ come se in molti si fossero guardati in faccia chiedendosi: ma cosa le abbiamo fatto, dove l’abbiamo dimenticata, dove l’abbiamo nascosta?
°Penso che incida moltissimo il fatto di avermi ritrovato improvvisamente. Ho sentito molto calore e affetto, è stato come dire: “Bentornata!”

D:Ma pensi di essere più nascosta tu o di essere stata nascosta?
°No, non mi sono nascosta, mi sono sola tolto un po’ di torno. Le tasse mi hanno trovata, eccome! Mi è arrivata una cartella del ’74 di ottanta milioni! Forse sono stata un po’ boicottata e questo mi ha fatto crescere improvvisamente.

D:E quello che ha scritto di te Aldo Busi?
°Busi è simpaticissimo. Ho letto il suo articolo in cui criticava il mio look e l’ho subito chiamato, perché mi sembra una dichiarazione d’amore. E’ totalmente innamorato della mia arte, lui vuole vestire una voce, e il fatto che in mezzo a questa arte ci sia purtroppo di mezzo pure una persona, gli da quasi fastidio, perché io fisicamente contamino la mia arte.

D:Quale è l’autore che ti piacerebbe cantare di più?
°Ancora Pino Daniele. E poi De Gregori, nel mio album dal vivo “Miei compagni di viaggio” ho fatto “Alice”, ma mi piacerebbe che facesse qualcosa per me.

D:Siamo proprio sicuri che non scapperai di nuovo?
°Non c’è nessuna garanzia, ma questa volta credo che sia un ritorno convinto.

Intervista di Marco Cestoni apparsa su BLU 1989

Il video di Notturno
http://www.youtube.com/watch?v=ZuOsM4VQ9X8

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venerdì 18 marzo 2011

Mia Martini: Son tornata a giocare con la musica

Di ritorno dalla tournèe Sanremo nel mondo, Mia Martini è stata accolta da spumante e pasticcini. E da una notizia importante e inattesa : "Almeno tu nell'universo", il brano da lei presentata al Festival, è nei dieci album (il titolo dell'Lp é "Martini Mia") più venduti della settimana.

Mi sento come uno di quei treni giapponesi che vanno ai duecento all'ora su una monorotaia senza toccar terra, sostenuti da un campo magnetico. Da Sanremo il favore dei critici, il sostegno del pubblico mi stanno spingendo avanti. E' una forza impalpabile ma potentissima.

- Il nono posto nella classifica ufficiale del Festival, il Premio della critica assegnatole dai giornalisti presenti a Sanremo, una immediata risposta del pubblico : per Mia Martini (nome d'arte di Domenica Bertè, calabrese, quarantenne) è un momento di grande felicità. Dopo sei anni di assenza dalle scene, a più di quindici anni di distanza dai primi successi, il suo recupero ha del miracoloso.
Ho atteso questo ritorno con un po' di timore : non sapevo quale sarebbe stata la reazione del pubblico, temevo la diffidenza degli addetti ai lavori. Con questi sentimenti sono salita sul palco del Teatro Ariston la domenica precedente il Festival. Quel giorno erano in programma le prove. Dopo poche battute della mia canzone, il teatro, affollato di giornalisti e critici, è esploso. E quegli applausi mi sono sembrati un 'Bentornata'. Mi sono sentita avvolta da una dimostrazione d'amicizia, quasi trascinata. Come il treno giapponese sulla monorotaia, appunto

- E poi è arrivato il Premio della critica...
Sì, in tutto questo Festival non c'è stato un momento stonato, tutto è stato perfetto. Il Premio per me ha il valore di un mazzo di fiori, una dichiarazione d'amore, una richiesta di fidanzamento.

- Come ti hanno accolta i colleghi dopo tanti anni di lontananza?
Benissimo. Ho scoperto amici che non vedevo da molto tempo, ho stretto amicizie con colleghi che prima frequentavo solo saltuariamente. La tournèe Sanremo nel mondo da quel punto di vista è stata utilissima. E' nata una bella amicizia con Dori Ghezzi, una donna deliziosa, e ho approfondito la conoscenza di Enzo Jannacci, con il quale in passato c'erano stati dei contrasti, con Renato Carosone, poi, mi sono quasi fidanzata... Scherzi a parte, ho trovato un ambiente migliore di quello che ho lasciato. In tutti questi anni c'è stata una grande maturazione : il mondo è cambiato e fortunatamente la musica non è rimasta indietro.

- L'immaturità di cui parli ha avuto un peso nella decisione di abbandonare il mondo della musica?
No, non voglio accusare gli altri : ad essere immatura ero soprattutto io. C'erano troppi muri che mi impedivano di vedere le cose con chiarezza. Ero confusa, non riuscivo a fare il mio lavoro con tranquillità e obiettività. Quando sono riuscita a guardare dentro me stessa, quei muri si sono dissolti.
- Era proprio necessario ritirarsi per tanto tempo?
Credo di sì. Andare in giro per il mondo senza vedere è inutile e pericoloso. Finalmente sono riuscita nella mia vita a dare il giusto spazio alla musica. Prima, presa dal meccanismo della popolarità, non avevo più tempo per dedicarmi allo studio, alla ricerca. Ora invece ho ripreso a studiare, ho scritto canzoni , ho suonato : tutte cose che una volta non facevo. Sembra un paradosso ma la musica non è mai stata così importante per me come in questi anni di assenza dalle scene.

- Come hai vissuto questo lungo periodo di lontananza dal pubblico?
Sette anni fa sono stata sfrattata : abitavo con il mio cane, vecchio e malato, in un appartamento alle porte di Milano. Da quel momento è iniziato il periodo più difficile : per cinque anni ho vissuto in alberghi, residence, casre di amici. Per tutto questo tempo non ho visto il mio pianoforte, chiuso nel deposito del mio ex impresario, ho abbandonato tutto cio' che possedevo. Direi che proprio questo è stato l'insegnamento che ho tratto da quell'esperienza : oggi vivo nell'essenziale. Dal punto di vista materiale, ma anche dal punto di vista mentale mi sono staccata dalle cose.
- E poi, un giorno, sei arrivata a Calvi, in Umbria....
Già, cinque anni dopo ho scoperto questo posto stupendo che mi ha aiutato a trovare un nuovo equilibrio. Abito sulla strada statale, a quattro chilometri dal paese. Via Vocabolo Fosso : anche l'indirizzo mi piace moltissimo, ha un bel suono. Credo che la vita in campagna mi abbia aiutato a decidere prima : in città probabilmente avrei impiegato molto più tempo. E' un ambiente sano, si vive a contatto con gente sana : lì la vita si annusa, si ha una percezione fisica delle stagioni, del tempo. E' una dimensione vera.
- Nella quale finalmente hai ripreso a suonare il tuo pianoforte...
Che gioia, quando l'ho rivisto. Dopo tutti quegli anni... Alla musica, come dicevo, ho concesso grande spazio negli ultimi tempi. Finchè, lo scorso settembre, la voglia di ritornare ad esibirmi si è fatta sentire prepotente. Proprio quando stavo meditando su questa possibilità mi ha chiamato Giovanni Sanjust, un produttore con il quale c'era un rapporto di stima e di amicizia. Mi ha proposto la realizzazione di un disco : gli ho subito risposto di sì. Da lì in avanti è stato tutto facile. Quando si lavora con professionisti...

- "Almeno tu nell'universo", il brano che hai presentato a Sanremo, ha una storia particolare. Puoi raccontarcela?
E' una canzone che risale a sette anni fa. Maurizio Fabrizio l'aveva scritto pensando a me, ma io all'epoca non avevo nessuna voglia di cantare. Così Maurizio l'ha tenuta in un cassetto. Quando Giovanni Sanjust me l'ha detto, mi sono innamorata della canzone prima ancora di averla ascoltata : mi aveva atteso per sette anni! Quando poi l'ho ascoltata, è stato un vero colpo di fulmine.
- E così, sull'onda del successo di "Almeno tu nell'universo" hai partecipato alla tournèe Sanremo nel mondo insieme agli altri protagonisti del Festival. Che ricordo hai di quei concerti?
Un ricordo molto bello. Sono state gettate le basi per un lavoro futuro e si è fatta un'importante esperienza. La musica italiana all'estero è più apprezzata di quanto normalmente si pensi. Quello che ci manca non è il favore del pubblico, bensì l'industria, la distribuzione. Ci hanno ascoltato folle enormi (sedicimila, ventimila spettatori per ogni concerto), sicuramente non composte interamente da emigrati. A Tokyo, dove gli italiani sono pochissimi, abbiamo avuto un pubblico bellissimo, caldissimo. Ho ancora in mente l'immagine di una giapponesina con in mano una bandiera italiana : in qualche modo è riuscita a superare gli sbarramenti di sicurezza per avvicinarsi al palco. Al termine della mia esibizione lei mi ha regalato una rosa e una gomma da masticare. Tutto ciò che aveva.

- E ora? Quali sono i progetti per i prossimi mesi?
Per il momento mi sto godendo la felicità di questi giorni. Poi, a brevissima scadenza, preparerò un gruppo di musicisti per esibirmi dal vivo a D.O.C., il programma televisivo di Renzo Arbore. Ho intenzione di organizzare una piccola tournèe per maggio, prima della fine stagione teatrale. Non vorrei fare più di cinque concerti nei teatri delle principali città italiane. E' un modo per salutare gli amici e gli addetti ai lavori. Per l'estate, poi, mi piacerebbe evitare la solita serie di serate che hanno l'unico scopo di raccogliere un po' di denaro. Preferirei piuttosto concentrarmi sull'autunno, durante il quale ci potrebbe essere spazio per un giro di concerti molto curati, ad alto livello. Nel frattempo, infine, preparerò un disco. Con grande calma, però. Ho chiesto ad Enzo Jannacci di scrivere un brano per me, spero di avere anche la collaborazione di Pino Daniele e di Francesco De Gregori. Oltre, naturalmente, agli amici Enzo Gragnaniello e Maurizio Fabrizio. I progetti sono numerosi : giocare con la musica, dentro la musica, è stata sempre la mia passione".
Articolo apparso sulla fanzine n.30 nella rubrica "Mia retrò".
Autore: Piero Negri per "Famiglia cristiana" gennaio 1989


Il video di Almeno tu nell'universo dal Premio Tenco 1989
http://www.youtube.com/watch?v=mb6Zp-bSHuE

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lunedì 7 marzo 2011

Mia Martini su Noi Donne: Non di sola voce. Intervista

Il primo disco a tredici anni, poi una lunga carriera. Mia Martini racconta della sua tormentata ricerca di identità fino alla serena maturità di oggi.

Mi viene incontro sorridente e leggera. E ci imbarchiamo in una fitta chiacchierata su Domenica-Mimì Bertè e Mia Martini, che sono la medesima persona, ossia lei stessa. L’anno di nascita è il 1947. Un’annata che ha prodotto individui abbastanza particolari, congegni dal meccanismo straordinariamente complesso ma molto delicato, forse perché sono confluite su di loro le prime, trepide, fantasie di rinnovamento dopo l’impatto devastante della guerra. E’ una pensata mia, che propongo a lei.

‘Eh, sì, sono d’accordo. Il meccanismo è fragilissimo, ma non per motivi costituzionali. Io penso che sia proprio una nostra scelta, quando il cervello ha cominciato a formare le sue idee, a elaborare la maniera in cui proiettarsi nel mondo. Fortificare la fantasia comporta che si usino meno gli altri arti inferiori, e dunque poi siamo fragili. Quando hai qualche scossone … e infatti io sono crollata. Però conoscendo questi miei grandi limiti … insomma bisogna avere una grande cura di tutto quest’equilibrio. E poi scegliere le cose che più ci appassionano.

Cantare è una di queste?
Sì, insieme alla musica è sempre stata una passione.

Quando hai cominciato a cantare?
Fin da quando ero piccolissima. In particolare mi ostinavo a cantare a squarciagola una canzone molto orecchiabile che mi piaceva tanto. Era Bandiera Rossa. E mio padre, professore di lettere e socialista abbastanza noto a Porto Recanati, dove abitavamo, si arrabbiava da morire, perché diceva che tutto il paese avrebbe pensato che era lui a indottrinarmi. Poi all’asilo, nell’occasione di un Natale, mi hanno scelta per cantare La Ninnananna del Bambino Gesù, che venne trasmessa alla radio, in diretta, in tutte le scuole d’Italia. Mia madre era maestra elementare. Tornò a scuola e mi disse: oggi ho sentito alla radio una bambina che cantava con una voce meravigliosa La Ninnananna del Bambino Gesù, tu dici sempre che vuoi fare la cantante, ma quella è veramente una bambina che può cantare. Così la scoperta di me come cantante è abbinata a questa cocente dolore di non essere stata riconosciuta’.
                                                          MUSICA, CHE PASSIONE
 Quali sono le tappe della tua formazione vocale?
E’ stato un lungo percorso. Io ho fatto degli studi stranissimi sul modo di utilizzare la voce, sul canto. Da bambina ascoltavo avidamente Sinatra, Etta James, Ray Conniff. Il Jazz è stato la prima esperienza importante, e Telenions Monk, sugli 11 anni, la prima scoperta sconvolgente con le sue dissonanze e trasgressioni che buttavano all’aria tutto ciò che stavo studiando nella musica classica. Poi, nel corso della vita, i miei compagni di viaggio sono diventati tanti. C’è anche Bach, non solo il Jazz o il Blues. Siccome ero irrimediabilmente affascinata dalla musica, mio padre mi mandò a scuola di pianoforte e lirica, visto che per lui, calabrese, l’unica cantante seria era quella lirica, le altre erano tutte mignotte. Intanto cantavo nelle chiese, durante i matrimoni o nei cori importanti. Lo studio della lirica poi l’ho abbandonato verso i 10 anni, quando i miei si sono separati (io e le mie tre sorelle siamo restate con mamma). Quello della musica invece non l’ho abbandonato mai, ma tradendo i progetti di mio padre, ho cominciato a studiare musica leggera come cantante.
 Ci ride sopra, alla sua maniera intensa e gentile, frequente intercalare al nostro parlare.


COSI’ NASCE MIMI’ BERTE’

Quand’è che sei diventata cantante, in senso vero e proprio?
A 12 anni già lavoravo. Cantavo 60 canzoni per sera con un gruppo di Ancona, in giro per i locali. Come paga prendevo 2.000 lire e la cena. Ma la signora che mi seguiva, perché a quell’età non potevo andare in giro da sola, voleva 1.000 lire e la cena. Così io per cantare digiunavo. E a un certo punto, visto che mi ero abituata al digiuno, ho organizzato uno sciopero della fame contro mia madre, perché volevo che mi portasse a Milano, dove c’erano le case discografiche. Alla fine mi portò. Disse che mi concedeva mezza giornata di tempo per trovarmi una casa discografica. Perciò alla stazione di Milano , affamatissima, mi sono attaccata a un telefono e ho chiamato tutte le case discografiche di cui mi ero ricopiata i nomi dalle etichette dei dischi che avevo. A mezzogiorno e mezzo, finalmente, chi mi risponde mi prende in considerazione. Era il discografico Carlo Alberto Rossi, che si è messo a ridere e mi ha chiesto quanti anni avevo. Poche ore dopo avevo il mio primo contratto. Così nasce Mimì Bertè che poi, nel 1970, diventerà Mia Martini. Il mio primo disco è uscito quando avevo 13 anni. Sono restata a Milano un bel po’ di tempo, abitavo dalla mamma di Carlo Alberto Rossi. Sempre queste mamme!

LA GRANDE CRISI

 
Cosa c’era dentro questa grande crisi?
C’era che si era spezzato l’equilibrio, e in tutta la mia fragilità sono crollata. Cioè è crollata Mia Martini, la parte esteriore di me, mentre è rimasta, anzi si è liberata la mia vera identità. In quel momento non avevo scelta, era la ricerca di me stessa che dovevo affrontare. Nel crollo hanno coinciso un po’ di cose. Io ero all’apice del successo, e purtroppo le case discografiche si erano accorte che potevano vendere qualsiasi cosa. Allora la Ricordi mi ha proibito di scegliere le mie canzoni al di fuori delle proprie edizioni. Una cosa pazzesca! Potevo cantare solo quello che volevano loro. Così me ne sono andata. La Ricordi mi ha fatto causa, l’ha vinta, e sono stata condannata a pagare miliardi di danni, cifre astronomiche. Mi hanno sequestrato tutto. Ed è cominciato l’ostracismo sistematico. Intanto era iniziato, su basi sanguinolente e catastrofiche il rapporto con Ivano Fossati. E avevo il mio bel da fare con questo campo minato. Avevo un contratto con un’altra casa discografica, e ho dovuto romperlo a causa sua. Perché era geloso, dei dirigenti, dei musicisti, di tutti. Ma soprattutto era geloso di me come cantante.

Diceva che mi voleva come donna, ma non era vero perché infatti non ha voluto nemmeno un figlio da me, e la prova d’amore era abbandonare del tutto anche la sola idea di cantare e distruggere completamente Mia Martini. Io ero combattuta, non riuscivo a farlo. Il fatto che ci fossero tutti quei debiti da pagare era il mio alibi per non smettere. Ma quando si è opposto violentemente alla collaborazione con Pino Daniele, alla quale tenevo moltissimo, per un album che dovevo fare, questa lotta tra me donna e Mia Martini è diventata una cosa feroce. E infatti quando sono andata in sala registrazione per incidere il disco, senza Pino Daniele, mi è andata via la voce. Mi sono ritrovata con le corde vocali imprigionate in una spessa membrana formata da noduli. Pare che sia una cosa rarissima. Ci sono voluti due interventi chirurgici. Sono stata muta un anno. E non si sapeva se sarei potuta tornare a cantare. Ho ricominciato, con fatica. Ho inciso un altro paio di album, ma sentivo che non ce la facevo più. Alla fine, nel 1983 ho mollato. Ho rotto con Fossati e mi sono messa alla ricerca di me stessa. Mi sentivo un mostro, come Fossati diceva che ero. Ho passato lunghi periodi a Bagnara, in Calabria, il mio paese d’origine, con il mio cane che poi è morto. E’ stato un grande dolore, stava con me da 16 anni. Mi sono trasferita stabilmente in Umbria. Continuavo a lavorare sulla voce, a studiare musica, ma pensavo che non sarei mai più tornata a cantare veramente. Per sopravvivere facevo delle serate qua e là, con dei gruppi orribili. E’ andata avanti così un bel po’. Insomma, da allora non ho più smesso, fino alla grande crisi, agli inizi degli anni Ottanta.


SALVA PER MIRACOLO

Poi una sera, esattamente il 29 dicembre 1988, tornando a casa in macchina ho beccato un lastrone di ghiaccio e sono finita in un burrone. Come si dice, sono salva per miracolo. Mi sono fatta a piedi il resto della strada, tutta sanguinante. Quando sono arrivata mi sono messa a piangere disperatamente, e poi tutto a un tratto a ridere. Ho avuto in quel momento la sensazione di aver lasciato tutto in fondo a quel burrone, come se mi fossi liberata dai retaggi del passato. Non li ho dimenticati, fanno parte di me, ma il peso è rimasto laggiù.
Ed è rinata Mia Martini?
Due mesi dopo ero al festival di San Remo 1989. E’ stato bellissimo. Adesso posso fare il mio mestiere come voglio, perché sono diventata una persona che si piace. Ho ritrovato anche mio padre, un rapporto interrotto da tanti anni, di cui sentivo la mancanza. E con Fossati siamo amici.

LA VOCE IMPRIGIONATA
 
Cos’è cambiato nel tuo modo di cantare?
E’ cambiato moltissimo. Una volta cantavo come una cantante che usa la voce come un normale strumento. Cercavo di emulare Aretha Franklin e Nina Simone che mi piacevano molto. Ero un’esecutrice. Una cosa che oggi mi appare lontana, estranea. Allora avevo una voce incredibile, purissima, che era il mio dramma perché ero praticamente considerata una voce. Finalmente mi sono spaccata le corde vocali e ho avuto il diritto di non esserlo più.

LA TEORIA DEI QUANTI
No, è che la voce è un equilibrio delicato, fatto di tante cose. Man mano, la vita, gli studi, gli incontri, il mio modo di ragionare, di dedurre da quello che mi arriva dall’esterno, hanno composto la mia voce di oggi. Perché la voce non è qualcosa di preesistente, la componi tu. Cantare è unire tutto, compresi dolori e passioni. Ci possono essere infinite maniere di interpretare. La mia è un’interpretazione visiva, panoramica, che viene un po’ da dentro e un po’ da fuori, dove la voce è una specie di schema, come nei computer, che si frantuma in pulviscoli, i quali si immischiano, è la Teoria dei Quanti, con altre forze che arrivano da fuori. E si tratta di ricomporre, acchiappando qua e là i vari pulviscoli. Ma non è che queste cose te le imponi. Accade naturalmente, nella respirazione, nel modo di entrare in un certo tipo di musica, nel ritmo, in quello che stai dicendo, oppure in stimolazioni varie e che capti dagli altri che sono con te, come i musicisti, o il pubblico.
Intervista di Ivana Zomparelli pubblicata su Noi Donne Maggio 1990

Il video di "Un altro atlantico"

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sabato 5 marzo 2011

Riflettori su Mia Martini: Finalmente sono tutta Mia



E’ rientrata sulle scene musicali l’anno scorso, dopo un silenzio durato un quinquennio. E si è rifatta del tempo perduto. All’improvviso, all’inizio dell’89, Mia Martini ha deciso di ritornare a cantare. E il brano che ha portato a Sanremo, Almeno tu nell’universo, si è aggiudicato il premio della critica ( esperienza non nuova per lei: l’aveva già avuto, sempre a Sanremo, nel 1982, per E non finisce mica il cielo). Poi è uscito un album, Martini Mia, che ha ricevuto un Disco d’oro. La Targa Tenco. A ottobre, l’ha consacrata migliore artista dell’anno. Per tutto l’89 è stata impegnatissima in una serie di concerti in giro per l’Italia, che non le hanno lasciato un attimo di tregua. Infine, il Festival del ’90 l’ha vista arrivare in posizione favorita, e andarsene, ancora una volta, con il premio della critica. Una soddisfazione grossa per una cantante sensibile, intensa, dall’esperienza umana e artistica complessa e tormentata.

 
D. C’è stato un incontro determinante nella sua vita?
Sì, quello con Ivano Fossati. E’ stato un incontro importantissimo per me, come artista e come donna, di quelli che ti segnano e ti rimangono dentro per tutta la vita. Che ha portato poi al mio abbandono delle scene musicali.

D. Quando è stato?
Nel 1983. Il 23 ottobre ho tenuto il concerto d’addio al Ciak di Milano. Poi ho mollato tutto. Perfino il mio appartamento. Ho vissuto da zingara per un po’, finché non mi sono ritirata in campagna, in Umbria. E’ stata una decisione difficile, ma necessaria. Avevo bisogno di stare sola, per capirmi e fare ordine in me stessa, per ricostruirmi, perché l’amore tormentato con Ivano mi aveva distrutto.

D. Ha mai pensato di fare un altro mestiere?
Sì, ci ho pensato seriamente. Ma altrettanto seriamente mi sono resa conto che non ero capace di fare altro che cantare.

D. La canzone che ha presentato a Sanremo è La nevicata del ‘56. Questa è una data importante per lei?
Rappresenta la fine dell’infanzia – allora io avevo nove anni – e di un periodo felice. Felica perché, prima, ogni cosa era al suo posto, tutto era completo: avevo un padre, una madre e delle sorelle. Poi nel ’57 i miei si sono separati e io sono caduta in un baratro, perché nella mia vita, improvvisamente, ho visto il vuoto.

D. I suoi amici fanno parte dell’ambiente della musica?
Non necessariamente: i miei amici appartengono a diversi ambienti.

D. E per quanto riguarda il suo look, come preferisce vestire?
Mi piacciono tutti gi abiti di Giorgio Armani. Amo la sua eleganza, il fascino sottile delle linee, la ricerca nei tessuti e nei colori, la creatività negli abiti da sera. Con i suoi vestiti, mi sento a mio agio, perfettamente a posto in qualsiasi momento della giornata, e molto femminile alla sera..

D. Ha un sogno che le piacerebbe vedere realizzato?
Sì, ed è un sogno vicino vicino. Mi piacerebbe trovare un’isoletta, con un pianoforte in casa, e tanto basilico e peperoncino intorno.

D. Come sono i rapporti in famiglia, e in particolare con la sua famosa sorella?
Loredana attualmente è sposatissima, e insieme a Borg pensa addirittura di allargare la famiglia. Non la vedo e non la seno da tantissimo tempo, ma anche se non ci telefoniamo quasi mai, siamo molto legate. Ho invece un rapporto bellissimo con mia sorella più piccola, Olivia, e un grande splendido rapporto con mio padre, con il quale c’è stato un black out di anni. Ma abbiamo recuperato, e adesso gli sono legatissima. Poi ci sono tante zie, con le quali vado d’accordissimo.

 D. Quando ha ricominciato a cantare, prevedeva un rientro così alla grande?
Assolutamente no. Son felice di avere ritrovato la mia dimensione di artista, ma non mi aspettavo di ritrovare tanto pubblico, ancora più grande di quello che avevo lasciato. Constatare di essere così amata mi ha dato un’immensa emozione.

 D. Ci sono dei musicisti con i quali le piacerebbe collaborare?
Ce ne sono diversi, che stimo molto: Pino Daniele, Francesco De Gregori, Claudio Baglioni…e Lucio Dalla, che considero il più grande cantante che abbiamo in Italia.

D. Stare fuori dalle scene musicali le è costato molto?
Tantissimo. Non è facile rinunciare a un pezzo di se stessi. Questa è stata la cosa più dura da superare.

D. Se dovesse definire il suo carattere, che aggettivi sceglierebbe?
Direi che sono pazza! Voglio dire che ancora oggi mi capita ogni tanto di vivere alcuni momenti strani, durante i quali mi domando che cosa voglio davvero. Perché a volte mi rendo conto di essere incoerente.
D. Si piace fisicamente?
Nemmeno un po’. Ma ho imparato ad accettarmi. Sono io, e allora mi sono costretta a innamorarmi di me. E’ stata dura!

Annalisa Romagnosi per Tempo donna 1990

 

Il video de "La nevicata del '56"
http://www.youtube.com/watch?v=8keTrshFn5M

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