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domenica 27 ottobre 2013

Scrivo. Una lettera di Mariella Nava a Mia Martini


 
Mariella Nava, dopo la scomparsa di Mia Martini,  scrive una lettera appassionata dedicata a lei e la regala al club Chez Mimì:

Non so più se sono in tempo ed è la cosa che mi fa stare più male, insieme al fatto di non saperti più con noi, di non sentire più la tua voce viva, ma solo registrata nei tuoi capolavori.

Ti ho sempre ammirata e guardata per imparare a fare questo mestiere: grazie a te ho capito che la voce doveva venire da dentro e a volte essere persino soffocata; grazie a te ho sentito e capito bellissime canzoni. Avrei voluto farti i complimenti, dirti che eri un punto di riferimento artistico, non solo per me, ma per chiunque voglia essere ‘interprete’ nel vero senso del termine.

Avrei voluto incontrare i tuoi occhi trincerati e sfuggenti, chiederti perché non volevi neanche salutarmi. Potevo anche non piacerti musicalmente, mica è obbligo! Non ci rimanevo male quando tornavano indietro le canzoni che ti proponevo, mi sarebbero piaciute cantate da te, ma non ho mai capito cosa aveva determinato questo. Ma ti sapevo sola, ti sentivo grandissima come persona. Anche se ti allontanavi a distanza, ti tenevo d’occhio, sperando in un ‘incontro frontale’, seguivo le frasi che dicevi, le tue risate fragorose, allarmi lanciati nel freddo silenzio della sala trucco, prima di qualche programma, come nel vuoto della tua vita. Lo sapevo che non eri più libera nel rapporto con gli altri, ma giustamente diffidente e corazzata, aspettavo il momento buono per dimostrarti che con me non ce ne sarebbe stato bisogno e che anzi ti volevo un gran bene, sarebbe finito tutto in una altrettanto fragorosa risata, lo so!!

Questo mondo spietato e cattivo, che ti ha fatto star male con dei pregiudizi assurdi, ci ha messo vicine in alcune occasioni per me importantissime. Forse tu non lo ricordi, ma la prima volta che ti vidi ero appena arrivata da Taranto. Ti trovai ancora allo studio dove ancora registro.

Tu mi dicesti :
ci vuole un grande coraggio a fare questa misera vita, a stare dietro alla musica, son tutti stronzi, ricordatelo!.

Stringevi a te una cagnolina che ti ricambiava quell’affetto enorme che riversavi su di lei, in assenza di quello degli uomini. Gli uomini che sia io che te abbiamo cantato, ricordi?

Il mondo ti ha messo nel mio stesso camerino, nel Cantagiro del ’92, ed io ero contenta di poter dimostrare che non ho mai creduto a certe ‘imbecillità’, ti aspettavo ogni volta per potere sapere quel famoso perché di un ‘non saluto’, ma non ti ho mai vista, arrivavi o prima o non passavi per niente!

Ed ora sono qui che ti scrivo, triste, perché sono senza risposta, ci hai lasciati tutti senza risposte.

Dal punto dove sei, però, spero che tu senta tutto il nostro grande affetto, spero che salga prepotente come il mio, come l’ammirazione che ti ho sempre portato a distanza.

Spero di potertelo dire forte e che lo accetti questa volta il mio …. Ciao Mimì……
 
La lettera è stata pubblicata sul numero 19 della fanzine Chez Mimì e inserita nel libro Mia Martini La regina senza trono

 

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Mia Martini: Quell’ abbraccio indimenticabile. Pensiero d’autore di Franco Simone

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giovedì 24 ottobre 2013

Zona Venerdì dedicata a Mia Martini. Intervista a Loredana Bertè per chez Mimì


 
Non sono una signora, una per cui la guerra non è mai finita…. Così cantava Loredana Bertè nei versi di Ivano Fossati ispirati da Mia Martini E riconferma questo suo credo, scomodo per certi versi ma senza dubbio vero, nei contatti telefonici con il club Chez Mimì.
Esprime rabbia per le operazioni discografiche commerciali su Mimì (il doppio cd antologico Una donna, una storia ed entro l’anno è prevista la pubblicazione di un cd live – meglio dire finto – tratto dalle registrazioni degli ultimi concerti e del tanto sospirato home-video Per aspera ad astra. Un consiglio: comprate il video ma noleggiate il compact, se vi riesce, n.d.a.)

E chi le può dare torto?
Loredana aveva la ferma intenzione di rendere un omaggio a Mimì:

Ho scritto tra l’11 e il 14 luglio un brano dedicato a mia sorella dal titolo Zona venerdì e volevo trovare una collocazione particolare che non fosse solamente l’inserimento in un album.
Avevo deciso, quindi, di pubblicarlo su un cd singolo la cui uscita era prevista per il 20 settembre, giorno del compleanno di Mimì, ma si sono create delle difficoltà con Renato Zero che doveva produrre questo cd per Fonopoli e che ha completamente stravolto, in fase di realizzazione, l’atmosfera del pezzo, nel tentativo di dargli un’impronta festosa, da sembrare Domenica è sempre domenica (sigla del programma Tv Il Musichiere, annata 1956, n.d.a.).
Ho preferito, a questo punto, bloccare il tutto, ho avuto una discussione accesa con Renato, gli ho detto che dovrebbe essere più al passo con i tempi, musicalmente…e che noi sorelle Bertè, in questo senso, siamo sempre state all’avanguardia.

In effetti, abbiamo avuto la possibilità in anteprima il provino, su una base musicale di P. Leon, e il brano ha delle sonorità struggenti che si accostano alla title track della colonna sonora del film Philadelphia. La voce di Loredana è al meglio delle sue capacità e offre una interpretazione piena di pathos.
E alla fine, Loredana, dopo aver ringraziato per lo sfogo e l’ascolto si congeda con una proposta: quella di far realizzare da uno scultore di grido, sempre in omaggio a Mimì, due sirene abbracciate che escono dal mare, da situare come attrazione turistica in una località marina ( quale potrebbe essere, se non Bagnara, proprio sul punto, amato da Mimì, in cui si vede Messina?, n.d.a.)

Un’idea che suggellerebbe simbolicamente l’incontro di due anime finalmente unite, finalmente libere….
Intervista apparsa sul numero 19 di Chez Mimì e pubblicata parzialmente sul libro Mia Martini La regina senza trono
 



Il video di Stiamo come stiamo. Mia Martini e Loredana Bertè presentate da Benedetta Mazzini
 http://youtu.be/2EBWRnMP5mE

Mia Martini e Loredana Bertè in Te possino dà tante cortellate
http://youtu.be/uWo4WcBpnKs

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lunedì 14 ottobre 2013

Un monologo teatrale per Mia Martini. Intervista ad Erika Urban



A Mia Martini è dedicato uno spettacolo Ultima notte Mia, tratto da un monologo di Aldo Nove, diretto dal regista Michele De Vita Conti e con protagonista Erika Urban che impersona Mia Martini. Il trucco e le luci contribuisco a evidenziare i tratti somatici che la Urban ha in comune con Mimì. Ecco l'intervista nella quale l'attrice parla di questa esperienza e naturalmente di Mia Martini.
 

Mia Martini  è una delle pochissime artiste che ancora oggi riescono a scuotere profondamente, come se non fosse mai morta; la voce di un’attrice come si confronta con quella di una grande cantante? Bruno Lauzi la paragonò a Barbra Streisand.
In realtà, come hai visto, nello spettacolo non intono neanche una nota perché col regista abbiamo deciso che non avrebbe senso il confronto, anche la più brava cantate italiana odierna non arriverebbe a quei livelli; quello che cerco di fare io, come lei usava la voce per esprimere e trasmettere le emozioni, io uso la mia voce per cercare di trasmettere quelle che potevano essere le sue emozioni. Usiamo la voce in due modi diversi, non c’è alcun confronto, assolutamente.


Cosa impari da una persona che usa la voce in modo diverso, con questa portata?
Io mi sono proprio immersa in lei, nella sua musica, le sue interviste, cercando di leggere anche un po’ la sua vita, attraverso, poi, le parole di Aldo Nove, che sono molto belle e che aiutano molto a tirare fuori le emozioni, questo percepire attraverso le vibrazioni della sua voce quello che poteva essere la vibrazione interna, i suoi sentimenti. Conoscendo un po’ la sua storia e pensando a lei come a una vera artista, con tutti i lati positivi e negativi di questa  cosa, una persona  senza  pelle, completamente permeabile, prendeva tutto e dava tutto. Ricevendo tutto riceveva anche molto male e molte persone si sono approfittate, se  vogliamo dire questa parola.



Nella pièce voi dite: tutto il mondo canta e le canzoni te lo fanno ascoltare. Lei sicuramente non era l’unica ad avere un rapporto così intimo con temi così alti come la musica, l’arte, eppure nel suo stesso ambiente si  è alimentata questa maldicenza assurda: come è possibile che chi è cantautore, fa cultura  apprezzato e riconosciuto eccetera si ritrovi in una situazione così grottesca, in un ambiente in cui dovrebbero prevalere la cultura, l’apertura mentale, la ricerca?
Guarda, a me vien da dire che un po’ l’Italia è un paese ancora molto superstizioso.


Ma tu dici che potrebbe succedere ancora oggi?
Ma certo: ci sono ancora oggi delle persone che non vengono nominate nel nostro ambiente. È ancora  così. Ancora adesso è pieno di persone che vanno a farsi le carte, che credono in queste cose, la fortuna, la sfortuna. E poi soprattutto perché lei era brava e quindi lei apriva la via a tante invidie, come dice il testo: “se uno veramente non ce l’ha il talento, come ti posso distruggere?” Così, dicendo che porti sfortuna, non ho altre armi. Però questa cosa è un’arma tremenda perché veramente può uccidere.

Voi cominciate dal momento della morte, avete allestito praticamente una camera ardente, in qualche modo. E poi il monologo, che è una specie di dialogo con lo spettatore: io ho percepito quest’attenzione, come se fossero tutti insieme a te, è quasi un ponte tra noi e lei, forse anche grazie a questo immenso suo carisma che aveva, nonostante fosse una abbastanza schiva. Quanto il suo fascino ancora così presente sta aiutando questo spettacolo?
Sicuramente  tantissimo, tantissimo. Perché  lei non se n’è mai andata. Non solo le sue canzoni, lei è sempre stata amata dal pubblico.

Ma non solo dal pubblico però.
Tantissimo più dal pubblico che dagli addetti  ai lavori. Comunque c‘è sempre stata questa cosa strana, non lo so perché forse perché aveva tanto talento e quindi veniva un po’allontanata. Quello che cerchiamo di fare noi, come dice il regista, è una specie di “woodoo teatrale”: siamo come dei medium e cerchiamo di dare  voce perché poi, in fondo, la sua vera storia non è che si conosca poi così tanto. Questa è una parte di  vita sua, si conoscono le sue canzoni, si sa che lei aveva questa nomea  ma non veramente come è nata, proprio  con questi episodi STUPIDI.
 
 Era troppo brava per essere italiana. Non esiste ancora oggi un fenomeno culturale massificato di  riferimento come è avvenuto in altri paesi, non è come è avvenuto col cinema.
Un po’ l’italiano non è così musicale come altre lingue
È rimasto un po’ nell’opera.
Sì più che altro sì, il bel canto che voleva il papà di Mia Martini: avrebbe preferito il canto lirico; quello è  rimasto come riferimento dell’Italia. Lei comunque avrebbe avuto la possibilità di diventare  una cantante internazionale quando Charles Aznavour la invitò all’Olympia di Parigi, poi lei per amore è tornata.
Sempre nel  testo voi dite: per molti la bravura degli altri è un’offesa personale perché se il talento non ce l’hai cerchi di distruggere l’altra persona. Poi parlate anche di prezzo da pagare per vivere il proprio talento, prezzo che paga l’artista. Chi è che decide questo prezzo? Chi ci guadagna? E ci si guadagna davvero a distruggere e a perdere un’artista?
Bisogna tenere conto che Mia Martini era molto sensibile ma era anche molto conscia del proprio talento e lottava con i denti e con le unghie per la sua indipendenza, quindi ha dato molto filo da torcere a quasi tutte le case discografiche con cui ha lavorato perché voleva lavorare come voleva lei, cantare le canzoni che voleva lei, scriverle come voleva lei. Ha pagato anche in questo senso il prezzo del talento e dell’indipendenza e le persone troppo indipendenti  danno un po’ fastidio, soprattutto se sono donne,  spesso. Secondo me è stato un po’ questo: lei è sempre stata una molto pura e compromessi non li ha mai  amati.
 

domenica 13 ottobre 2013

Mia Martini: un’artista per niente difficile. Intervista a Shel Shapiro di Andrea Lo Vecchio


 
Alto, magro, barba e capelli alla Rasputin, Shel Shapiro è uno dei personaggi più completi del panorama della musica leggera italiana ed un tuffo nel passato. I Rokes prima, dei quali era l’indiscusso ‘leader’ e gli anni passati a scrivere canzoni insieme a me, quasi tutti successi poi. Mi si ripresenta con la sua aria un po’ magica nella sua villa stile hollywoodiano con tanto di piscina e tutto il resto. Un po’ di ricordi e poi la prima domanda.

D. Shel, tu hai una particolarità: hai lavorato con quasi tutte le prime donne della canzone italiana da Mina, alla Vanoni, alla Carrà e buon ultima in ordine di tempo Mia Martini. Che differenza passa fra tutte queste prime donne?
R. Secondo me, la differenza fondamentale è una differenza di mentalità; Mina e Ornella, non posso parlare specificatamente di Raffaella perché era troppo tempo fa come tu ben sai visto l’abbiamo fatto insieme, si sono inserite in un mercato difficilmente definibile perché non cercano una situazione contemporanea di suono; oggi come oggi, secondo me, soddisfano la loro clientela abituale senza fare niente per aumentarla o tenerla aggiornata o portare avanti  un discorso con i giovani. Mimì, invece, pur essendo sul mercato da dodici anni, sicuramente, con il lavoro che stiamo facendo insieme, fa un tentativo indirizzato al mercato discografico corrente. Questa è secondo me la differenza fondamentale, cercando, chiaramente di non perdere in qualità.

D. Nell’articolo che ho scritto, dico che Mimì è forse, con Mina, l’artista più completa nel panorama della musica leggera italiana, di lei apprezzo molto il suo timbro vocale e il suo modo di parlare, sei d’accordo con me?
R. Sì, lo sono senz’altro. Ti racconto che, per esempio, mentre stavamo finendo l’ultimo disco di Mimì, una sera è venuta in sala di registrazione Mina, proprio per sentire il lavoro appena terminato e le è piaciuto moltissimo, in fondo credo che uno dei primi fans di Mimì sia proprio lei.


D. E l’idea di farle cantare insieme?
R. Potrebbe anche essere interessante! Dal punto di vista di un produttore non è difficile da effettuarsi; diventa difficile magari per una scelta di materiale e di indirizzo.

D. Come mai, secondo te, che ora lavori anche in America e Inghilterra, grossi personaggi come Paul Mc Cartney e Stevie Wonder per esempio, riescono a fare dischi insieme mentre in Italia è molto difficile mettere insieme due personaggi di grosso calibro?
R. Prima perché stai nominando dei giganti, diversi, ma con una identica matrice culturale, cioè il rock, uno con una faccia nera l’altro bianca, ma tra i più grandi degli ultimi vent’anni. Teniamo comunque presente che un prodotto simile ha richiesto diciotto mesi di lavoro con conseguenti costi che possono essere assorbiti da un mercato che rappresenti potenzialmente milioni di L.P., non certamente il nostro mercato che tutto sommato si limita ad alcune centinaia di migliaia di copie.

D. Parliamo un attimo di Shel Shapiro che è passato da autore a produttore. E’ una mentalità diversa o ti trovi come prima?
R. Fondamentalmente non è cambiato molto, penso di essere soprattutto artista come prima; è diverso, a parte la situazione musicale che eravamo abituati a gestire e tu ne sai molto di questo perché lo facevamo insieme, il produttore deve gestire anche la situazione psicologica dell’artista, i  musicisti, la casa discografica e i collaboratori.


D. Vorrei farti una domanda un po’ cattivella! Tu con i Rokes avete spopolato qualche anno fa, il fatto di essere produttore è per te una continuazione dell’essere Rokes; cioè ti da modo di continuare il tuo essere interprete oppure no?
R. In parte sicuramente. Ho fatto un test psicologico sull’Espresso. ‘Narciso’ mi hanno detto e ‘anche oppressivo’! (Grossa risata) No, io penso che questa componente c’è senz’altro, cioè come produttore voglio essere la prima donna, ma io credo che tutti noi, nel nostro campo, vogliamo essere le prime donne. E’ assurdo non cercare di farlo.

D. Com’è Mimì al di fuori della sala di registrazione?
R. Devo dire che sia fuori che dentro, per quanto mi riguarda, è fantastica. Ho un rapporto bellissimo, tranquillo, anche se mi avevano detto che era un’artista molto difficile con cui lavorare. Non ho avuto alcuna difficoltà. E’ stato un rapporto di piena comprensione sul piano umano e musicale, il che è abbastanza raro.

D. Nel mio articolo ho scritto che forse Mimì non ha una personalità spiccata artisticamente perché si è sempre appoggiata a questo o a quello finendo per essere una emanazione; dicevo anche che forse l’unica soluzione per diventare grande quanto Mina anche agli occhi del pubblico, era quella di trovare un produttore che sviluppasse le sue vere capacità. Pensi che con te l’abbia trovato?
R. Credo che chiunque senta i nuovi dischi capisca che Mimì è in una nuova fase musicale; una fase molto più completa, serena, consapevole delle proprie forze e delle proprie capacità. Oggi come oggi non è più una cantante brava, è una cantante forte, il che è molto diverso. Si è sempre detto Ah come è brava!, la voce pura; io ho cercato di farle perdere la tecnica e di guadagnare in comunicazione a livello umano. Mimì adesso è più consapevole di dove sta la sua vera forza; in parte vocale, in parte la capacità di scrivere musica, testi, anche se nei dischi, necessariamente, il materiale non può essere tutto suo. Non è più l’oggetto di qualcuno, è l’oggetto di se stessa.

martedì 8 ottobre 2013

Io e Mia Martini di Andrea Lo Vecchio


 
Sipario – Il sipario si alza su una delle voci più belle del panorama della musica leggera italiana ed indubbiamente una delle artiste più sfortunate che abbiano calcato la scena.
Altalena – Una continua altalena fra successo e silenzio, luci ed ombre, momenti esaltanti e no.

Ricordo – Ricordo di una certa Mimì Bertè partita tanti anni fa, e sicura promessa della canzone.

Ecco, promessa – Promessa Mimì lo è sempre stata, senza riuscire a decollare mai stabilmente come indubbiamente le sue qualità avrebbero meritato. Perché? Analisi e scoperta – Credo di sapere perché!
 
Mimì, in arte Mia Martini, è un talento naturale: lavorare con lei è un piacere quanto lo è con Mina, ad esempio, ma, al contrario di Mina, Mimì si è sempre lasciata usare. E’ sempre l’espressione di qualcun altro. Non ha mai trovato nessun produttore che si sia messo al servizio delle sue qualità sfruttandole nel modo più giusto, variandole, facendole risaltare per quel che erano, raggiungendo l’emotività che è in grado di raggiungere. La lunga mano di qualcun altro, dicevamo.
 
Prima Baldan Bembo, autore eccelso, e poi gente con una personalità troppo spiccata, musicalmente parlando, per lasciare spazio all’artista: e così Mimì è sempre chiusa in un vestito che è di altri, che lei indossa splendidamente ma che sempre di altri è, lasciandoti dentro questo senso vago di incompiuto
.
 
Riesce a vendere o a non vendere a seconda che il pezzo sia buono o non buono, nessuno mette in dubbio le sue qualità, ma non riesce a stabilizzarsi nel posto che meriterebbe, all’altezza di Mina, Ornella, Celentano e gli altri che dai vertici non si allontanano. Mancanza di personalità? Non credo – Mimì è una donna dolcissima, anche lei leggermente timida, intelligente, colta, con un mondo interiore vastissimo che, a malapena, scopri nei suoi testi, quelli che scrive lei; quasi una sorta di pudore le impedisce di esprimersi fino in fondo, creando immagini poetiche a mascherare una realtà che è solo sua, le appartiene di diritto.
E’ in fondo poetessa e, come tutti i poeti, manca di senso pratico, di quel pizzico di pazzia necessario a chi vive sotto le luci dei riflettori.
Poeta: essere poeta è un modo di vivere, di filtrare le cose ed i sentimenti, è un accostarsi alla vita in modo interiore, pagando sempre in prima persona. Poeta è essere un po’ fuori tempo e fuori luogo sempre, è non essere mai al centro del problema.
Ecco, forse Mia Martini non sa di essere poeta, non ne ha la piena coscienza e, volta per volta, si affida ad una forte personalità musicale che le consenta di mantenere intatto e segreto il suo mondo interiore che la non coscienza tiene nascosto in una specie di limbo da dove uscire è difficile. Mimì dovrebbe forse trovare qualcuno che l’aiuti, l’assecondi, non le permetta di affidarsi pienamente e la conduca verso una maturazione piena che le consenta di raggiungere quelle vette, non solo vocali, che indubbiamente meriterebbe.
Non dunque mancanza di personalità, bensì poca motivazione ad esternarla e poi, forse, e qui vado ad azzeccare, un bisogno di continuità nel rapporto con il padre.
Flash-back – Una festa a casa di amici comuni, una delle poche alle quali vado. Odio le feste, questa passerella di gente che a malapena si conosce e finge di essere amica, spettegolando su questo e su quello, tirando tardi tra un bicchiere di qualcosa e un piatto di insalata russa (quasi sempre sono cene fredde!).
Difficilmente riesci a comunicare con qualcuno, sempre interrotto da qualcun altro che non c’entra con il discorso, difficilmente riesci a non parlare del tuo lavoro, di quello che stai facendo o preparando, della canzone che ti ha cantato Mina o della sigla di un cartone animato che qualcuno ha immancabilmente visto per caso su di una stazione televisiva privata.
E si tira avanti, mentre c’è sempre qualcuno che nota che questa volta quello lì non è stato invitato, che quell’altro erano quasi sei mesi che non si vedeva in giro, intrecciando una serie di congetture sui rapporti dei padroni di casa con il prossimo, rapporti di lavoro, di amicizia, di interesse, finché verso l’una o due di notte qualcuno non pronuncia la fatidica frase: Scusate, devo andare, domani mattina ho un impegno importante….
 
Tornando a Mimì, dicevamo che ci siamo incontrati recentemente a una di queste escursioni notturne. Stava lì nel suo angolo, con in braccio l’immancabile cagnolino a parlare del più e del meno. Mi sono avvicinato, dopo un po’, lasciando mia moglie a dialogare con qualcuno che aveva vissuto un paio d’anni negli States senza capirci assolutamente nulla, da come ne descriveva la vita. Mimì stava leggendo il testo che aveva scritto per una sua canzone ad un signore dall’aria simpatica e rubiconda. Conosci mio padre? – Professore di lettere, credo preside di un liceo, il padre mi ispirò subito una istintiva simpatia. Uomo intelligente oltre che preparato, sapeva dosare il dialogo in rapporto alla cultura dell’interlocutore, semplificandolo a seconda dei casi con estrema scioltezza e senza alcuna remora mentale.
Mio nonno diceva sempre che un vero uomo di cultura sa sempre adattarsi a chi ha di fronte, parlano da ‘carrettiere’ con il carrettiere e da avvocato con l’avvocato. Troppo spesso invece i nostri uomini di cultura o presunta tale usano terminologie da salotto o di moda, limitando il discorso ad una pura e semplice constatazione lessicale che mette fuori combattimento l’avversario di salotto in difficoltà di vocabolario.
Il padre di Mimì, dunque, riusciva a tenere banco con molta sensibilità e piacevolezza, senza mai interrompere il dialogo con chicchessia, suscitando la mia ammirazione e stima non solo mia! Mia se ne accorse e ne era orgogliosa, felice di mostrare il padre in tutta la sua statura all’ombra della quale rifugiarsi materialmente ed intellettivamente, con quella involontaria sudditanza che l’ammirazione e l’amore mischiati insieme spesso provocano.
Vedere Mia Martini e suo padre, quella sera, mi ha aperto la porta ad un mondo che non conoscevo: Mimì ragazza all’antica, dai valori intatti; famiglia, uomo; Mimì dai desideri semplici; Mimì senza corte; Mimì buona cuoca, dicono che sappia far da mangiare in modo splendido; Mimì tutto sommato timida, Mimì introversa, Mimì cuore buono.
 
Una ragazza positiva, quel tanto che basta, ma senza fanatismo, con la voglia di essere donna e madre, un giorno.

E la conosco da poco! Penso che conoscendola meglio, si possano scoprire tante altre cose che una conoscenza necessariamente un po’ affrettata e superficiale non ti permette di scoprire o di sapere.
Del padre, dicevamo. Ed ecco che improvvisamente l’essere strumento di altri si mischia nel mio cervello alla Martini conosciuta altrove. E se questo suo appoggiarsi, interpretare la altrui personalità, fosse un modo per ritrovare ad ogni incontro, in ogni compagna di lavoro, una emanazione del padre? Se fosse un rifugio e quindi un modo di sentirsi protetta? Bisognerebbe risalire forse all’infanzia, alla madre, e questa non ne è la sede, ma più parlo di Mimì, più cerco di entrare nel personaggio e più mi sento di incitarvi a volerle un po’ di bene; Mimì ne ha bisogno! Non il bene che si conclude con la scena di fanatismo, per carità, ma il bene che ti permette di far sì che qualcuno ti senta vicino anche e soprattutto nei momenti di necessità, quando le cose vanno storte, quando sono difficili da superare, quando il freddo ha il sopravvento ed hai bisogno di sapere che qualcuno ti vuole bene, ti stima, ti aspetta, e per un artista questo qualcuno è il suo pubblico. Eh sì! Anche se l’abbiamo chiamata in mille modi, questa brava ragazza che è Mia Martini, resta soprattutto un’artista. Una eccellente artista.
Ricordo l’emozione a San Remo ’82 quando, in mezzo a tanta banalità, arrivò lei con una sicurezza impressionante ed intonò “Non finisce mica il cielo” o qualcosa di simile. Io stavo parlando con un americano e ci fermammo ad ascoltarla, tanto era brava. Ricordo che mi commosse e cercai in tutti i modi di portarmela ad una manifestazione che organizzavo subito dopo. Là, sulla scena, Mimì si trasformava, tirava fuori le unghie, si batteva con un coraggio da leone contro l’idiozia, la banalità. La sua vittoria era ad ogni nota più netta ed anche se forse non avrebbe poi venduto tanto quanto gli altri motivetti più facili, sicuramente tutti l’hanno notata, tutti ne sono rimasti un po’ colpiti, giovani e no, a dimostrazione che Mimì potrebbe avere un pubblico vastissimo in grado di ascoltarla, applaudirla, apprezzarla ed in ultima analisi, comprarla.
Ecco, una nuova strada era intrapresa, speriamo sappia mantenerla. Ha a disposizione un buon discografico, pronto a combattere con lei. Mia Martini potrebbe fare ciò che Mina non ha voluto fare. Lei non ha paura degli aerei; potrebbe varcare i confini e diventare un’artista internazionale. Non vedo perché non potrebbe cantare all’Olympia di Parigi o a Monaco, o a Buenos Aires o a New York, ambasciatrice di quella musica italiana che ha bisogno di nuove realtà internazionali per continuare ad affermare che non siamo solo una colonia anglosassone, ma che siamo ancora in grado di partorire quelle melodie che ci hanno resi famosi un po’ dovunque.
E’ tornato a prendere il sopravvento il mio essere autore, ed essere italiano. Autore di canzoni, intendo, autore che ha rifiutato la colonizzazione a tutti i costi, quella per la quale se solo sei di madre-lingua inglese, sei sicuramente bravo, mentre se hai  radici napoletane sei sicuramente vecchio e un po’ superato dai tempi delle collanine, degli amuleti, dei fiori e degli spinelli.
Ma transeat, questo è un altro discorso, anche se è sempre bene farlo nel tentativo di rieducare un pubblico diseducato da disc-jokey, organizzatori, programmatori radiofonici e televisivi e così via! Filippica che viene in mente quando di qua c’è un autore e di là un’interprete della classe di Mia Martini.
Non ho mai scritto canzoni per lei (si dimentica La porta socchiusa 1975 n.d.r.), ma mi piacerebbe farlo; mi piacerebbe scriverle una musica in modo che lei ci possa scrivere un testo; discutere insieme musica e testo e vestirlo con un arrangiamento adeguato, ma probabilmente non lo farò mai, un po’ per pigrizia, un po’ perché distratto dalle duemilacinquecento cose che ho da fare. La voglia però rimane e rimane da quando mi ha fatto ascoltare, una notte, il suo ultimo Lp, in sala di registrazione.
Ero andato a trovarla, anche per dimostrarle che non ce l’avevo con lei per una cosa che era successa e che non mi aveva fatto piacere, e ci ritrovammo sdraiati sulla moquette ad ascoltare quel suo prodotto.
 
Un pezzo mi colpì particolarmente; un testo bellissimo ed in grado di suscitare emozioni per quello che diceva e per come era porto. Il testo era suo e, nell’ascoltarlo, Mimì si commosse per l’ennesima volta, tentando di nasconderlo, ma finendo per abbandonare la stanza quando le dissi: Questo è il tuo pezzo, secondo me. Non avrei dubbi!
Doveva essere molto combattuta per quella sorta di pudore che i poeti hanno e del quale parlavamo all’ inizio. Ed è stato lì che a me è venuta la voglia di scriverle una musica, perché possa esprimersi liberamente, senza censure. Io che faccio questo per mestiere, so che i miei testi più belli sono quelli scritti senza censure di sorta (quasi sempre scritti per Mina, a dire il vero), senza la censura del musicista prima, del produttore poi, del discografico in terza analisi e dell’artista per finire. Un esame continuo al quale sottoporsi per quasi ogni cosa che scrivi. Mi diceva Mogol che uno dei segreti del suo successo con Battisti è perché in quel preciso momento lui aveva deciso di non sottoporsi più a nessun giudizio, ma di esprimersi in libertà, senza l’assillo del successo. Da condividere o no, ma comunque il buon Giulio non aveva mai scritto “Emozioni”, prima, una delle pietre miliari della canzone italiana, e successi o non successi era sempre un po’ criticato come autore di versi, mentre, con Battisti, è diventato Mogol, quel Mogol mito che tutti conoscono, del quale un po’ tutti parlano, dal salotto ai due sociologi in treno che in mia presenza, arzigogolavano improbabili schiere di specialisti e di computers al servizio di questo Archimede del vocabolario che sa sempre scegliere la parola giusta al momento giusto.
Scrivere senza assillo, senza censure, dà sempre il miglior risultato e questo lo sanno tutti, compreso il buon Pino (il mio Pigmalione) che sa quanto scrivi meglio quando non sei pressato dal tempo o da altre cose.
Ma torniamo a Mimì Bertè, in arte Mia Martini, un cavallo di razza che, se saprà amministrarsi, dunque scegliersi i giusti collaboratori, crescere un po’ sul piano della convinzione dei propri meriti, non farsi fagocitare dal musicista di turno con troppa personalità; se saprà fare tutto questo, e non è difficile secondo me, è destinata a brillare nel cielo della canzone come una delle stelle più luminose, al pari di quella di Mina, Paoli, Vanoni, Celentano, Battisti e tutti gli altri, che non sono stelle filanti, ma stelle che brillano di luce propria.
Articolo di Andrea Lo Vecchio apparso su Profili musicali 1982

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Mia Martini : una donna distrutta dalla cattiveria degli ‘amici’ di Diego Dalla Palma
 http://questimieipensieri.blogspot.it/2013/08/mia-martini-una-donna-distrutta-dalla_27.html
 Mia Martini. Grande "piccola donna", regina e cenerentola
http://questimieipensieri.blogspot.it/2013/04/mia-martini-principessa-e-cenerentola.html

Incanta la voce di Mia Martini. A Taormina la cantante calabrese che meriterebbe ben altra carriera
http://questimieipensieri.blogspot.it/2011/02/incontro-con-mia-martini-la-voce-che.html


 
Canta Mia Martini: voce, cuore e passione.
http://questimieipensieri.blogspot.it/2009/03/canta-mia-voce-cuore-e-passione.html

Allo Smeraldo l'atteso concerto di Mia Martini a favore dell'Anfass
http://questimieipensieri.blogspot.it/2009/03/allo-smeraldo-l-atteso-concerto-

Mina e Mia Martini: la loro reciproca ammirazione
http://questimieipensieri.blogspot.it/2012/06/mina-e-mia-martini-la-loro-reciproca.html

Mia Martini e Ivano Fossati: La Regina e il Volatore
http://questimieipensieri.blogspot.it/2007/12/la-regina-e-il-volatore.html

'Buonasera, gente di questo Paradiso'. Bacoli ricorda così Mia Martini
http://questimieipensieri.blogspot.com/2011/02/buonasera-gente-di-questo-paradiso.html

Come nasce una canzone. Mia Martini, Roberto Murolo, Enzo Gragnaniello raccontano "Cu'mmè" http://questimieipensieri.blogspot.com/2011/01/come-nasce-una-canzone-mia-martini_22.html