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martedì 8 ottobre 2013

Io e Mia Martini di Andrea Lo Vecchio


 
Sipario – Il sipario si alza su una delle voci più belle del panorama della musica leggera italiana ed indubbiamente una delle artiste più sfortunate che abbiano calcato la scena.
Altalena – Una continua altalena fra successo e silenzio, luci ed ombre, momenti esaltanti e no.

Ricordo – Ricordo di una certa Mimì Bertè partita tanti anni fa, e sicura promessa della canzone.

Ecco, promessa – Promessa Mimì lo è sempre stata, senza riuscire a decollare mai stabilmente come indubbiamente le sue qualità avrebbero meritato. Perché? Analisi e scoperta – Credo di sapere perché!
 
Mimì, in arte Mia Martini, è un talento naturale: lavorare con lei è un piacere quanto lo è con Mina, ad esempio, ma, al contrario di Mina, Mimì si è sempre lasciata usare. E’ sempre l’espressione di qualcun altro. Non ha mai trovato nessun produttore che si sia messo al servizio delle sue qualità sfruttandole nel modo più giusto, variandole, facendole risaltare per quel che erano, raggiungendo l’emotività che è in grado di raggiungere. La lunga mano di qualcun altro, dicevamo.
 
Prima Baldan Bembo, autore eccelso, e poi gente con una personalità troppo spiccata, musicalmente parlando, per lasciare spazio all’artista: e così Mimì è sempre chiusa in un vestito che è di altri, che lei indossa splendidamente ma che sempre di altri è, lasciandoti dentro questo senso vago di incompiuto
.
 
Riesce a vendere o a non vendere a seconda che il pezzo sia buono o non buono, nessuno mette in dubbio le sue qualità, ma non riesce a stabilizzarsi nel posto che meriterebbe, all’altezza di Mina, Ornella, Celentano e gli altri che dai vertici non si allontanano. Mancanza di personalità? Non credo – Mimì è una donna dolcissima, anche lei leggermente timida, intelligente, colta, con un mondo interiore vastissimo che, a malapena, scopri nei suoi testi, quelli che scrive lei; quasi una sorta di pudore le impedisce di esprimersi fino in fondo, creando immagini poetiche a mascherare una realtà che è solo sua, le appartiene di diritto.
E’ in fondo poetessa e, come tutti i poeti, manca di senso pratico, di quel pizzico di pazzia necessario a chi vive sotto le luci dei riflettori.
Poeta: essere poeta è un modo di vivere, di filtrare le cose ed i sentimenti, è un accostarsi alla vita in modo interiore, pagando sempre in prima persona. Poeta è essere un po’ fuori tempo e fuori luogo sempre, è non essere mai al centro del problema.
Ecco, forse Mia Martini non sa di essere poeta, non ne ha la piena coscienza e, volta per volta, si affida ad una forte personalità musicale che le consenta di mantenere intatto e segreto il suo mondo interiore che la non coscienza tiene nascosto in una specie di limbo da dove uscire è difficile. Mimì dovrebbe forse trovare qualcuno che l’aiuti, l’assecondi, non le permetta di affidarsi pienamente e la conduca verso una maturazione piena che le consenta di raggiungere quelle vette, non solo vocali, che indubbiamente meriterebbe.
Non dunque mancanza di personalità, bensì poca motivazione ad esternarla e poi, forse, e qui vado ad azzeccare, un bisogno di continuità nel rapporto con il padre.
Flash-back – Una festa a casa di amici comuni, una delle poche alle quali vado. Odio le feste, questa passerella di gente che a malapena si conosce e finge di essere amica, spettegolando su questo e su quello, tirando tardi tra un bicchiere di qualcosa e un piatto di insalata russa (quasi sempre sono cene fredde!).
Difficilmente riesci a comunicare con qualcuno, sempre interrotto da qualcun altro che non c’entra con il discorso, difficilmente riesci a non parlare del tuo lavoro, di quello che stai facendo o preparando, della canzone che ti ha cantato Mina o della sigla di un cartone animato che qualcuno ha immancabilmente visto per caso su di una stazione televisiva privata.
E si tira avanti, mentre c’è sempre qualcuno che nota che questa volta quello lì non è stato invitato, che quell’altro erano quasi sei mesi che non si vedeva in giro, intrecciando una serie di congetture sui rapporti dei padroni di casa con il prossimo, rapporti di lavoro, di amicizia, di interesse, finché verso l’una o due di notte qualcuno non pronuncia la fatidica frase: Scusate, devo andare, domani mattina ho un impegno importante….
 
Tornando a Mimì, dicevamo che ci siamo incontrati recentemente a una di queste escursioni notturne. Stava lì nel suo angolo, con in braccio l’immancabile cagnolino a parlare del più e del meno. Mi sono avvicinato, dopo un po’, lasciando mia moglie a dialogare con qualcuno che aveva vissuto un paio d’anni negli States senza capirci assolutamente nulla, da come ne descriveva la vita. Mimì stava leggendo il testo che aveva scritto per una sua canzone ad un signore dall’aria simpatica e rubiconda. Conosci mio padre? – Professore di lettere, credo preside di un liceo, il padre mi ispirò subito una istintiva simpatia. Uomo intelligente oltre che preparato, sapeva dosare il dialogo in rapporto alla cultura dell’interlocutore, semplificandolo a seconda dei casi con estrema scioltezza e senza alcuna remora mentale.
Mio nonno diceva sempre che un vero uomo di cultura sa sempre adattarsi a chi ha di fronte, parlano da ‘carrettiere’ con il carrettiere e da avvocato con l’avvocato. Troppo spesso invece i nostri uomini di cultura o presunta tale usano terminologie da salotto o di moda, limitando il discorso ad una pura e semplice constatazione lessicale che mette fuori combattimento l’avversario di salotto in difficoltà di vocabolario.
Il padre di Mimì, dunque, riusciva a tenere banco con molta sensibilità e piacevolezza, senza mai interrompere il dialogo con chicchessia, suscitando la mia ammirazione e stima non solo mia! Mia se ne accorse e ne era orgogliosa, felice di mostrare il padre in tutta la sua statura all’ombra della quale rifugiarsi materialmente ed intellettivamente, con quella involontaria sudditanza che l’ammirazione e l’amore mischiati insieme spesso provocano.
Vedere Mia Martini e suo padre, quella sera, mi ha aperto la porta ad un mondo che non conoscevo: Mimì ragazza all’antica, dai valori intatti; famiglia, uomo; Mimì dai desideri semplici; Mimì senza corte; Mimì buona cuoca, dicono che sappia far da mangiare in modo splendido; Mimì tutto sommato timida, Mimì introversa, Mimì cuore buono.
 
Una ragazza positiva, quel tanto che basta, ma senza fanatismo, con la voglia di essere donna e madre, un giorno.

E la conosco da poco! Penso che conoscendola meglio, si possano scoprire tante altre cose che una conoscenza necessariamente un po’ affrettata e superficiale non ti permette di scoprire o di sapere.
Del padre, dicevamo. Ed ecco che improvvisamente l’essere strumento di altri si mischia nel mio cervello alla Martini conosciuta altrove. E se questo suo appoggiarsi, interpretare la altrui personalità, fosse un modo per ritrovare ad ogni incontro, in ogni compagna di lavoro, una emanazione del padre? Se fosse un rifugio e quindi un modo di sentirsi protetta? Bisognerebbe risalire forse all’infanzia, alla madre, e questa non ne è la sede, ma più parlo di Mimì, più cerco di entrare nel personaggio e più mi sento di incitarvi a volerle un po’ di bene; Mimì ne ha bisogno! Non il bene che si conclude con la scena di fanatismo, per carità, ma il bene che ti permette di far sì che qualcuno ti senta vicino anche e soprattutto nei momenti di necessità, quando le cose vanno storte, quando sono difficili da superare, quando il freddo ha il sopravvento ed hai bisogno di sapere che qualcuno ti vuole bene, ti stima, ti aspetta, e per un artista questo qualcuno è il suo pubblico. Eh sì! Anche se l’abbiamo chiamata in mille modi, questa brava ragazza che è Mia Martini, resta soprattutto un’artista. Una eccellente artista.
Ricordo l’emozione a San Remo ’82 quando, in mezzo a tanta banalità, arrivò lei con una sicurezza impressionante ed intonò “Non finisce mica il cielo” o qualcosa di simile. Io stavo parlando con un americano e ci fermammo ad ascoltarla, tanto era brava. Ricordo che mi commosse e cercai in tutti i modi di portarmela ad una manifestazione che organizzavo subito dopo. Là, sulla scena, Mimì si trasformava, tirava fuori le unghie, si batteva con un coraggio da leone contro l’idiozia, la banalità. La sua vittoria era ad ogni nota più netta ed anche se forse non avrebbe poi venduto tanto quanto gli altri motivetti più facili, sicuramente tutti l’hanno notata, tutti ne sono rimasti un po’ colpiti, giovani e no, a dimostrazione che Mimì potrebbe avere un pubblico vastissimo in grado di ascoltarla, applaudirla, apprezzarla ed in ultima analisi, comprarla.
Ecco, una nuova strada era intrapresa, speriamo sappia mantenerla. Ha a disposizione un buon discografico, pronto a combattere con lei. Mia Martini potrebbe fare ciò che Mina non ha voluto fare. Lei non ha paura degli aerei; potrebbe varcare i confini e diventare un’artista internazionale. Non vedo perché non potrebbe cantare all’Olympia di Parigi o a Monaco, o a Buenos Aires o a New York, ambasciatrice di quella musica italiana che ha bisogno di nuove realtà internazionali per continuare ad affermare che non siamo solo una colonia anglosassone, ma che siamo ancora in grado di partorire quelle melodie che ci hanno resi famosi un po’ dovunque.
E’ tornato a prendere il sopravvento il mio essere autore, ed essere italiano. Autore di canzoni, intendo, autore che ha rifiutato la colonizzazione a tutti i costi, quella per la quale se solo sei di madre-lingua inglese, sei sicuramente bravo, mentre se hai  radici napoletane sei sicuramente vecchio e un po’ superato dai tempi delle collanine, degli amuleti, dei fiori e degli spinelli.
Ma transeat, questo è un altro discorso, anche se è sempre bene farlo nel tentativo di rieducare un pubblico diseducato da disc-jokey, organizzatori, programmatori radiofonici e televisivi e così via! Filippica che viene in mente quando di qua c’è un autore e di là un’interprete della classe di Mia Martini.
Non ho mai scritto canzoni per lei (si dimentica La porta socchiusa 1975 n.d.r.), ma mi piacerebbe farlo; mi piacerebbe scriverle una musica in modo che lei ci possa scrivere un testo; discutere insieme musica e testo e vestirlo con un arrangiamento adeguato, ma probabilmente non lo farò mai, un po’ per pigrizia, un po’ perché distratto dalle duemilacinquecento cose che ho da fare. La voglia però rimane e rimane da quando mi ha fatto ascoltare, una notte, il suo ultimo Lp, in sala di registrazione.
Ero andato a trovarla, anche per dimostrarle che non ce l’avevo con lei per una cosa che era successa e che non mi aveva fatto piacere, e ci ritrovammo sdraiati sulla moquette ad ascoltare quel suo prodotto.
 
Un pezzo mi colpì particolarmente; un testo bellissimo ed in grado di suscitare emozioni per quello che diceva e per come era porto. Il testo era suo e, nell’ascoltarlo, Mimì si commosse per l’ennesima volta, tentando di nasconderlo, ma finendo per abbandonare la stanza quando le dissi: Questo è il tuo pezzo, secondo me. Non avrei dubbi!
Doveva essere molto combattuta per quella sorta di pudore che i poeti hanno e del quale parlavamo all’ inizio. Ed è stato lì che a me è venuta la voglia di scriverle una musica, perché possa esprimersi liberamente, senza censure. Io che faccio questo per mestiere, so che i miei testi più belli sono quelli scritti senza censure di sorta (quasi sempre scritti per Mina, a dire il vero), senza la censura del musicista prima, del produttore poi, del discografico in terza analisi e dell’artista per finire. Un esame continuo al quale sottoporsi per quasi ogni cosa che scrivi. Mi diceva Mogol che uno dei segreti del suo successo con Battisti è perché in quel preciso momento lui aveva deciso di non sottoporsi più a nessun giudizio, ma di esprimersi in libertà, senza l’assillo del successo. Da condividere o no, ma comunque il buon Giulio non aveva mai scritto “Emozioni”, prima, una delle pietre miliari della canzone italiana, e successi o non successi era sempre un po’ criticato come autore di versi, mentre, con Battisti, è diventato Mogol, quel Mogol mito che tutti conoscono, del quale un po’ tutti parlano, dal salotto ai due sociologi in treno che in mia presenza, arzigogolavano improbabili schiere di specialisti e di computers al servizio di questo Archimede del vocabolario che sa sempre scegliere la parola giusta al momento giusto.
Scrivere senza assillo, senza censure, dà sempre il miglior risultato e questo lo sanno tutti, compreso il buon Pino (il mio Pigmalione) che sa quanto scrivi meglio quando non sei pressato dal tempo o da altre cose.
Ma torniamo a Mimì Bertè, in arte Mia Martini, un cavallo di razza che, se saprà amministrarsi, dunque scegliersi i giusti collaboratori, crescere un po’ sul piano della convinzione dei propri meriti, non farsi fagocitare dal musicista di turno con troppa personalità; se saprà fare tutto questo, e non è difficile secondo me, è destinata a brillare nel cielo della canzone come una delle stelle più luminose, al pari di quella di Mina, Paoli, Vanoni, Celentano, Battisti e tutti gli altri, che non sono stelle filanti, ma stelle che brillano di luce propria.
Articolo di Andrea Lo Vecchio apparso su Profili musicali 1982

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