Franco Simone con Daniele Piombi e Zia Sarina alla prima edizione Premio Mia Martini a Bagnara Calabra Ottobre 1995 |
Eravamo a Venezia. Il clima settembrino di quel 1972, dolce e stimolante, aggiungeva interesse al Festival Internazionale di Musica Leggera (la Gondola d’Oro) che già era imponente per cast artistico e organizzazione, quella del patron Gianni Ravera.
Ornella Vanoni si aggirava per il lido al massimo della sua traiettoria artistica, esibendo sensualità e intelligenza. Gianni Nazzaro (in quel momento rivale numero uno di Massimo Ranieri) era ‘scortato’ dalla moglie-manager Nada Ovcina, attentissima perché nulla offuscasse il momento d’oro del marito. Io ero tra i giovani in gara per la Gondola d’Argento. Mi ritrovai in classifica tra i primi quattro, insieme a Antonello Venditti e a Carla Bissi (che in seguito scelse Alice come nome d’arte). All’ingresso di uno degli storici alberghi del lido veneziano si poteva incrociare il Dottor Zivago Omar Sharif, forse richiamato dai giochi del Casinò, oltre che dal fascino della città-
Le prove musicali si svolgevano tra momenti di noia e attenzione per i colleghi che, di volta in volta, ogni artista riconosceva come amici o, spesso, come ingombranti rivali. Ad un certo punto nel teatro tutti tacquero perché si cominciò ad ascoltare una voce che non permetteva distrazioni, la giovane Mia Martini (25 anni) si impadroniva in un attimo della scena e dell’attenzione generale eseguendo Donna sola, un brano che, nel giro di pochi giorni, sarebbe esploso in radio e nelle classifiche di vendita. Non era solo una bella canzone, c’era molto di più. Quelle parole ‘mi sento da sola…io con la mia anima…’ davano la percezione di una grande novità artistica e umana.
Il pensiero correva alle poche grandi protagoniste mondiali in cui musica e spiritualità si erano fuse. Veniva in mente Billie Holiday, oppure Edith Piaf. Anche la nostra Mimì Bertè (il nome vero, usato da giovanissima anche artisticamente) veniva da un passato in cui la sofferenza aveva giocato un ruolo da protagonista. I giornali avevano parlato di carcere, di droga, di una famiglia molto problematica, eppure, in tutta quella sregolatezza, il canto e il viso di Mimì trasmettevano innocenza e purezza. Qualcuno ha detto che l’arte, quando è espressa ai massimi livelli, diventa un elemento di definizione assoluto, che esclude qualunque giudizio. Non avevo ancora digerito lo stupore quando, alcune ore più tardi, mi ritrovai accanto a un pianoforte
suonato (magnificamente) da Dario Baldan Bembo, autore di molti dei primi successi di Mimì e musicista di rango col quale in seguito anch’io ebbi il piacere di collaborare. Arrivò lei e, con naturalezza, come si fa tra amici, disse: Dario, cantiamo qualcosa di Elton John?. Cantò e, pur senza pubblico e senza alcun microfono, lo fece anche questa volta magistralmente. Io, al suo fianco, l’ascoltavo in silenzio e, a pochi centimetri dal suo viso, ne potevo cogliere ogni minimo gesto e sfumatura vocale. Tutto trasudava verità e, inscindibile, un senso di malinconia dolce, ma inesorabile. Col senno di poi, adesso so che quella verità e quella malinconia non si sarebbero mai allontanate da quella magnifica creatura artistica. Per Mimì seguirono, inevitabili, successi, premi, trionfi.
suonato (magnificamente) da Dario Baldan Bembo, autore di molti dei primi successi di Mimì e musicista di rango col quale in seguito anch’io ebbi il piacere di collaborare. Arrivò lei e, con naturalezza, come si fa tra amici, disse: Dario, cantiamo qualcosa di Elton John?. Cantò e, pur senza pubblico e senza alcun microfono, lo fece anche questa volta magistralmente. Io, al suo fianco, l’ascoltavo in silenzio e, a pochi centimetri dal suo viso, ne potevo cogliere ogni minimo gesto e sfumatura vocale. Tutto trasudava verità e, inscindibile, un senso di malinconia dolce, ma inesorabile. Col senno di poi, adesso so che quella verità e quella malinconia non si sarebbero mai allontanate da quella magnifica creatura artistica. Per Mimì seguirono, inevitabili, successi, premi, trionfi.
Poi avvenne l’incredibile: un noto impresario romano mise in giro la voce che Mia Martini ‘portava male’. All’inizio pensai fosse una cosa senza alcuna importanza, ma io sono un ingenuo. La dinamica della calunnia è descritta benissimo nel “Barbiere di Siviglia” di Rossini, in cui si racconta che ‘la calunnia è un venticello’ che però, un po’ per volta, cresce a dismisura fino a diventare un uragano irrefrenabile. A quel punto la persona calunniata non può fare nulla, perché la calunnia si autoalimenta e da dubbio diventa certezza per tantissimi. Giorno per giorno avanzava il processo di distruzione psicologica della povera Mimì. Me la ritrovai in una sala d’incisione milanese, a metà degli anni ’80. Veniva ad accompagnare la sua amica Aida Cooper, impegnata come corista in un mio album. Mimì era spenta. I suoi occhi non emanavano più la loro naturale luce. Era trasandata, spettinata, vestita non male, peggio … aveva addosso qualche indumento di chi è obbligato a mettersi qualcosa, qualunque cosa prima di uscire. Si stava lasciando andare. Non aveva più energia da contrapporre a tanta cattiveria. Nella sua bella mente d’artista una cattiveria di quella portata non trovava posto nemmeno come lontana ipotesi. Chi non pratica la pratica non sa neanche difendersene.
Mi vengono in mente tante persone e fatti…ma non voglio parlare di me! Il pubblico spesso rimane all’oscuro di tutto. Al di fuori degl addetti ai lavori, ben pochi sapevano quello che stava succedendo. Il discorso Mia Martini veniva liquidato con poche parole: ‘Ve la ricordate? Era brava, ma non si sente più…’. In quel periodo mi capitò di cantare, prima di lei, in un concerto con una marea di gente. Quando andò in scena lei, rimase poca gente distratta ad ascoltarla. Mi piangeva il cuore, perché lei cantava concentrata, ispirata, come se avesse avuto davanti il miglior pubblico del mondo. Non è vero che il pubblico ha sempre ragione. Il pubblico subisce condizionamenti continui e le sue reazioni sono spesso il risultato di operazioni decise a sua insaputa. Un pubblico consapevole si sarebbe reso conto anche quella sera del miracolo artistico che stava avvenendo su quel palcoscenico.
Invece c’era quella colpevole freddezza, dovuta semplicemente al fatto che in quel momento Mia Martini non era presente sulle copertine dei giornali e nei programmi televisivi di punta. Alcune delle maggiori riviste neanche scrivevano più il nome d’arte di Mimì. Scrivevano solo Mimì Bertè, perché raccontavano che ‘portava male’ anche semplicemente scrivere ‘Mia Martini’.
Una notissima cantante danneggiò coi tacchi il tetto dell’auto su cui viaggiava perché pretendeva che il suo impresario facesse un giro di centinaia di chilometri in più, pur di non passare da Bagnara Calabra, perché, diceva: ‘porta male anche passare vicino al paese di quella lì.’ Ad un altro notissimo collega rubarono la macchina, come succede spesso, ovunque. La sua spiegazione fu: ‘lo sapevo … poco fa ho incontrato quella lì!....’.
Potrei continuare a raccontare tanti altri episodi simili ai quali ho assistito, ma, mentre ne parlo, sto male. Io….immaginate come doveva stare male l’interessata! Ma torniamo a quel giorno in cui, con Aida Cooper, incontrai anche lei. Non volevo toccare direttamente discorsi spiacevoli. Cercavo di misurare le parole. Mi sembrava di maneggiare qualcosa di meraviglioso, ma ormai ridotto all’estrema fragilità. Le dissi: Mimì quando ci farai ascoltare un nuovo disco?. E lei, con un filo di voce, quasi senza espressione, rispose: No…basta! Non ne ho più voglia! Non voglio più cantare!. Non puoi farlo! – aggiunsi - Una come te deve cantare, perché nessuno ti può sostituire. Forse la mia insistenza le fece piacere, ma ugualmente sembrò irremovibile.
Passò qualche anno e, finalmente, il Festival di Sanremo regalò una delle più belle emozioni della sua storia quando sul palcoscenico apparve una rinata Mia Martini, di nuovo in forma, elegante, intensa come nei suoi migliori momenti. O forse come non era mai stata. Almeno tu nell’universo, capolavoro firmato da Bruno Lauzi e Maurizio Fabrizio, fu la canzone della rinascita. Mimì aggiunse alla bellezza della canzone l’enorme riserva di vita vissuta nel frattempo, con tutta la lucida sofferenza che ne aveva costituito l’elemento dominante. Anche per questo motivo nessuno potrà mai cantare quella canzone come lei. Il pubblico riprese ad affollare i suoi concerti. Tutti ricominciarono a volerla. Una sera la rividi in concerto in gran forma. Ripropose tutto il meglio del suo repertorio, aggiungendo delle canzoni che, pur conosciutissime, sembravano inedite grazie alla sensibilità con cui le amava e le faceva sue. Parlo di brani storici come La donna cannone di De Gregori o Imagine di John Lennon.
Dopo il concerto andai a salutarla in camerino. Mi accolse con una dolcezza nella quali colsi un po’ d’imbarazzo. Ebbi l’impressione che volesse dirmi qualcosa che la intimidiva.
Poi, con la leggerezza di una farfalla, mi abbracciò e, a bassissima voce, come se mi stesse confidando un segreto, vicino all’orecchio, mi disse: Non so come ringraziarti perché so che parli sempre bene di me. Quelle parole, quell’abbraccio delicato, non li dimenticherò mai.
Sapete tutti come poi sia finita. La domenica di maggio in cui si ebbe notizia della tragedia che chiudeva l’esistenza di Mimì, io ero ospite a Domenica in per presentare la mia canzone Angeli in prestito, che avevo composto per la scomparsa di mia madre. Non potevo fare a meno di pensare anche a Mimì mentre cantavo ‘Io ti ho vissuta come un’abitudine, leggera come neve, ma abitudine…Risento tra le note il gusto popolare della tua voce…ma gli angeli li abbiamo solo in prestito. Il vento, prima o poi, se li riporta via…’.
Una piccola nota finale: adesso che quell’angelo non c’è più, ognuno può pensarla come vuole, ma a me viene naturale riservare un supplemento di affetto in più alla sorella Loredana, anche quando non la capisco; anzi, come dice una mia amica, soprattutto quando non la capisco, perché è proprio allora che Loredana ne ha più bisogno. Sarà un modo di rendere omaggio a quella sua sorella, artista immensa e donna sfortunata.
Stupendamente unica!
Anni dopo, nel 1995, subito dopo la sua scomparsa, Franco Simone viene invitato a partecipare al primo omaggio fatto da Bagnara Calabra. Dietro le quinte dimostra una grande pazienza nel gestire l’esuberanza di Loredana Bertè che lo provoca nel dirgli: ma sei venuto qui per fare un concerto? Trova, invece, il coraggio di lanciare una invettiva con parole belle e dure:
Mi dispiace rompere il clima di festa collettiva che c’è qui stasera, ma credo che quello di Mia Martini sia stato un omicidio collettivo, è stata ammazzata prima, giorno dopo giorno, dall’ambiente, per volere di tante cattiverie, se c’era una che non le meritava era lei, è stata una vera, autentica artista, ci ha lasciato queste incisioni meravigliose attraverso le quali ci arriva sempre la sua anima, troppo grande per un mondo che bada alla forma e non alla sostanza.
Articolo riportato parzialmente nel libro Mia Martini. La voce dentro
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1 commento:
Facciamoli i nomi! Facciamo i nomi della gente indegna che l'ha distrutta per invidia... Perché chi non c'era sappia tanto la grandezza del nome di Mimì quanto la meschinità degli altri, che non meritano di essere protetti da una reticenza fin troppo elegante!
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