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lunedì 7 marzo 2011

Mia Martini su Noi Donne: Non di sola voce. Intervista

Il primo disco a tredici anni, poi una lunga carriera. Mia Martini racconta della sua tormentata ricerca di identità fino alla serena maturità di oggi.

Mi viene incontro sorridente e leggera. E ci imbarchiamo in una fitta chiacchierata su Domenica-Mimì Bertè e Mia Martini, che sono la medesima persona, ossia lei stessa. L’anno di nascita è il 1947. Un’annata che ha prodotto individui abbastanza particolari, congegni dal meccanismo straordinariamente complesso ma molto delicato, forse perché sono confluite su di loro le prime, trepide, fantasie di rinnovamento dopo l’impatto devastante della guerra. E’ una pensata mia, che propongo a lei.

‘Eh, sì, sono d’accordo. Il meccanismo è fragilissimo, ma non per motivi costituzionali. Io penso che sia proprio una nostra scelta, quando il cervello ha cominciato a formare le sue idee, a elaborare la maniera in cui proiettarsi nel mondo. Fortificare la fantasia comporta che si usino meno gli altri arti inferiori, e dunque poi siamo fragili. Quando hai qualche scossone … e infatti io sono crollata. Però conoscendo questi miei grandi limiti … insomma bisogna avere una grande cura di tutto quest’equilibrio. E poi scegliere le cose che più ci appassionano.

Cantare è una di queste?
Sì, insieme alla musica è sempre stata una passione.

Quando hai cominciato a cantare?
Fin da quando ero piccolissima. In particolare mi ostinavo a cantare a squarciagola una canzone molto orecchiabile che mi piaceva tanto. Era Bandiera Rossa. E mio padre, professore di lettere e socialista abbastanza noto a Porto Recanati, dove abitavamo, si arrabbiava da morire, perché diceva che tutto il paese avrebbe pensato che era lui a indottrinarmi. Poi all’asilo, nell’occasione di un Natale, mi hanno scelta per cantare La Ninnananna del Bambino Gesù, che venne trasmessa alla radio, in diretta, in tutte le scuole d’Italia. Mia madre era maestra elementare. Tornò a scuola e mi disse: oggi ho sentito alla radio una bambina che cantava con una voce meravigliosa La Ninnananna del Bambino Gesù, tu dici sempre che vuoi fare la cantante, ma quella è veramente una bambina che può cantare. Così la scoperta di me come cantante è abbinata a questa cocente dolore di non essere stata riconosciuta’.
                                                          MUSICA, CHE PASSIONE
 Quali sono le tappe della tua formazione vocale?
E’ stato un lungo percorso. Io ho fatto degli studi stranissimi sul modo di utilizzare la voce, sul canto. Da bambina ascoltavo avidamente Sinatra, Etta James, Ray Conniff. Il Jazz è stato la prima esperienza importante, e Telenions Monk, sugli 11 anni, la prima scoperta sconvolgente con le sue dissonanze e trasgressioni che buttavano all’aria tutto ciò che stavo studiando nella musica classica. Poi, nel corso della vita, i miei compagni di viaggio sono diventati tanti. C’è anche Bach, non solo il Jazz o il Blues. Siccome ero irrimediabilmente affascinata dalla musica, mio padre mi mandò a scuola di pianoforte e lirica, visto che per lui, calabrese, l’unica cantante seria era quella lirica, le altre erano tutte mignotte. Intanto cantavo nelle chiese, durante i matrimoni o nei cori importanti. Lo studio della lirica poi l’ho abbandonato verso i 10 anni, quando i miei si sono separati (io e le mie tre sorelle siamo restate con mamma). Quello della musica invece non l’ho abbandonato mai, ma tradendo i progetti di mio padre, ho cominciato a studiare musica leggera come cantante.
 Ci ride sopra, alla sua maniera intensa e gentile, frequente intercalare al nostro parlare.


COSI’ NASCE MIMI’ BERTE’

Quand’è che sei diventata cantante, in senso vero e proprio?
A 12 anni già lavoravo. Cantavo 60 canzoni per sera con un gruppo di Ancona, in giro per i locali. Come paga prendevo 2.000 lire e la cena. Ma la signora che mi seguiva, perché a quell’età non potevo andare in giro da sola, voleva 1.000 lire e la cena. Così io per cantare digiunavo. E a un certo punto, visto che mi ero abituata al digiuno, ho organizzato uno sciopero della fame contro mia madre, perché volevo che mi portasse a Milano, dove c’erano le case discografiche. Alla fine mi portò. Disse che mi concedeva mezza giornata di tempo per trovarmi una casa discografica. Perciò alla stazione di Milano , affamatissima, mi sono attaccata a un telefono e ho chiamato tutte le case discografiche di cui mi ero ricopiata i nomi dalle etichette dei dischi che avevo. A mezzogiorno e mezzo, finalmente, chi mi risponde mi prende in considerazione. Era il discografico Carlo Alberto Rossi, che si è messo a ridere e mi ha chiesto quanti anni avevo. Poche ore dopo avevo il mio primo contratto. Così nasce Mimì Bertè che poi, nel 1970, diventerà Mia Martini. Il mio primo disco è uscito quando avevo 13 anni. Sono restata a Milano un bel po’ di tempo, abitavo dalla mamma di Carlo Alberto Rossi. Sempre queste mamme!

LA GRANDE CRISI

 
Cosa c’era dentro questa grande crisi?
C’era che si era spezzato l’equilibrio, e in tutta la mia fragilità sono crollata. Cioè è crollata Mia Martini, la parte esteriore di me, mentre è rimasta, anzi si è liberata la mia vera identità. In quel momento non avevo scelta, era la ricerca di me stessa che dovevo affrontare. Nel crollo hanno coinciso un po’ di cose. Io ero all’apice del successo, e purtroppo le case discografiche si erano accorte che potevano vendere qualsiasi cosa. Allora la Ricordi mi ha proibito di scegliere le mie canzoni al di fuori delle proprie edizioni. Una cosa pazzesca! Potevo cantare solo quello che volevano loro. Così me ne sono andata. La Ricordi mi ha fatto causa, l’ha vinta, e sono stata condannata a pagare miliardi di danni, cifre astronomiche. Mi hanno sequestrato tutto. Ed è cominciato l’ostracismo sistematico. Intanto era iniziato, su basi sanguinolente e catastrofiche il rapporto con Ivano Fossati. E avevo il mio bel da fare con questo campo minato. Avevo un contratto con un’altra casa discografica, e ho dovuto romperlo a causa sua. Perché era geloso, dei dirigenti, dei musicisti, di tutti. Ma soprattutto era geloso di me come cantante.

Diceva che mi voleva come donna, ma non era vero perché infatti non ha voluto nemmeno un figlio da me, e la prova d’amore era abbandonare del tutto anche la sola idea di cantare e distruggere completamente Mia Martini. Io ero combattuta, non riuscivo a farlo. Il fatto che ci fossero tutti quei debiti da pagare era il mio alibi per non smettere. Ma quando si è opposto violentemente alla collaborazione con Pino Daniele, alla quale tenevo moltissimo, per un album che dovevo fare, questa lotta tra me donna e Mia Martini è diventata una cosa feroce. E infatti quando sono andata in sala registrazione per incidere il disco, senza Pino Daniele, mi è andata via la voce. Mi sono ritrovata con le corde vocali imprigionate in una spessa membrana formata da noduli. Pare che sia una cosa rarissima. Ci sono voluti due interventi chirurgici. Sono stata muta un anno. E non si sapeva se sarei potuta tornare a cantare. Ho ricominciato, con fatica. Ho inciso un altro paio di album, ma sentivo che non ce la facevo più. Alla fine, nel 1983 ho mollato. Ho rotto con Fossati e mi sono messa alla ricerca di me stessa. Mi sentivo un mostro, come Fossati diceva che ero. Ho passato lunghi periodi a Bagnara, in Calabria, il mio paese d’origine, con il mio cane che poi è morto. E’ stato un grande dolore, stava con me da 16 anni. Mi sono trasferita stabilmente in Umbria. Continuavo a lavorare sulla voce, a studiare musica, ma pensavo che non sarei mai più tornata a cantare veramente. Per sopravvivere facevo delle serate qua e là, con dei gruppi orribili. E’ andata avanti così un bel po’. Insomma, da allora non ho più smesso, fino alla grande crisi, agli inizi degli anni Ottanta.


SALVA PER MIRACOLO

Poi una sera, esattamente il 29 dicembre 1988, tornando a casa in macchina ho beccato un lastrone di ghiaccio e sono finita in un burrone. Come si dice, sono salva per miracolo. Mi sono fatta a piedi il resto della strada, tutta sanguinante. Quando sono arrivata mi sono messa a piangere disperatamente, e poi tutto a un tratto a ridere. Ho avuto in quel momento la sensazione di aver lasciato tutto in fondo a quel burrone, come se mi fossi liberata dai retaggi del passato. Non li ho dimenticati, fanno parte di me, ma il peso è rimasto laggiù.
Ed è rinata Mia Martini?
Due mesi dopo ero al festival di San Remo 1989. E’ stato bellissimo. Adesso posso fare il mio mestiere come voglio, perché sono diventata una persona che si piace. Ho ritrovato anche mio padre, un rapporto interrotto da tanti anni, di cui sentivo la mancanza. E con Fossati siamo amici.

LA VOCE IMPRIGIONATA
 
Cos’è cambiato nel tuo modo di cantare?
E’ cambiato moltissimo. Una volta cantavo come una cantante che usa la voce come un normale strumento. Cercavo di emulare Aretha Franklin e Nina Simone che mi piacevano molto. Ero un’esecutrice. Una cosa che oggi mi appare lontana, estranea. Allora avevo una voce incredibile, purissima, che era il mio dramma perché ero praticamente considerata una voce. Finalmente mi sono spaccata le corde vocali e ho avuto il diritto di non esserlo più.

LA TEORIA DEI QUANTI
No, è che la voce è un equilibrio delicato, fatto di tante cose. Man mano, la vita, gli studi, gli incontri, il mio modo di ragionare, di dedurre da quello che mi arriva dall’esterno, hanno composto la mia voce di oggi. Perché la voce non è qualcosa di preesistente, la componi tu. Cantare è unire tutto, compresi dolori e passioni. Ci possono essere infinite maniere di interpretare. La mia è un’interpretazione visiva, panoramica, che viene un po’ da dentro e un po’ da fuori, dove la voce è una specie di schema, come nei computer, che si frantuma in pulviscoli, i quali si immischiano, è la Teoria dei Quanti, con altre forze che arrivano da fuori. E si tratta di ricomporre, acchiappando qua e là i vari pulviscoli. Ma non è che queste cose te le imponi. Accade naturalmente, nella respirazione, nel modo di entrare in un certo tipo di musica, nel ritmo, in quello che stai dicendo, oppure in stimolazioni varie e che capti dagli altri che sono con te, come i musicisti, o il pubblico.
Intervista di Ivana Zomparelli pubblicata su Noi Donne Maggio 1990

Il video di "Un altro atlantico"

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