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domenica 20 gennaio 2013

Mia Martini: Quell’ abbraccio indimenticabile. Pensiero d’autore di Franco Simone

Franco Simone con Daniele Piombi e Zia Sarina alla prima edizione Premio Mia Martini a Bagnara Calabra Ottobre 1995

Articolo di Franco Simone dedicato a Mia Martini, apparso sul numero 4 della rivista Emozioni (luglio/agosto 2009), per la rubrica Pensiero d’autore.


Eravamo a Venezia. Il clima settembrino di quel 1972, dolce e stimolante, aggiungeva interesse al Festival Internazionale di Musica Leggera (la Gondola d’Oro) che già era imponente per cast artistico e organizzazione, quella del patron Gianni Ravera.

Ornella Vanoni si aggirava per il lido al massimo della sua traiettoria artistica, esibendo sensualità e intelligenza. Gianni Nazzaro (in quel momento rivale numero uno di Massimo Ranieri) era ‘scortato’ dalla moglie-manager Nada Ovcina, attentissima perché nulla offuscasse il momento d’oro del marito. Io ero tra i giovani in gara per la Gondola d’Argento. Mi ritrovai in classifica tra i primi quattro, insieme a Antonello Venditti e a Carla Bissi (che in seguito scelse Alice come nome d’arte). All’ingresso di uno degli storici alberghi del lido veneziano si poteva incrociare il Dottor Zivago Omar Sharif, forse richiamato dai giochi del Casinò, oltre che dal fascino della città-

Le prove musicali si svolgevano tra momenti di noia e attenzione per i colleghi che, di volta in volta, ogni artista riconosceva come amici o, spesso, come ingombranti rivali. Ad un certo punto nel teatro tutti tacquero perché si cominciò ad ascoltare una voce che non permetteva distrazioni, la giovane Mia Martini (25 anni) si impadroniva in un attimo della scena e dell’attenzione generale eseguendo Donna sola, un brano che, nel giro di pochi giorni, sarebbe esploso in radio e nelle classifiche di vendita. Non era solo una bella canzone, c’era molto di più. Quelle parole ‘mi sento da sola…io con la mia anima…’ davano la percezione di una grande novità artistica e umana.


Il pensiero correva alle poche grandi protagoniste mondiali in cui musica e spiritualità si erano fuse. Veniva in mente Billie Holiday, oppure Edith Piaf. Anche la nostra Mimì Bertè (il nome vero, usato da giovanissima anche artisticamente) veniva da un passato in cui la sofferenza aveva giocato un ruolo da protagonista. I giornali avevano parlato di carcere, di droga, di una famiglia molto problematica, eppure, in tutta quella sregolatezza, il canto e il viso di Mimì trasmettevano innocenza e purezza. Qualcuno ha detto che l’arte, quando è espressa ai massimi livelli, diventa un elemento di definizione assoluto, che esclude qualunque giudizio. Non avevo ancora digerito lo stupore quando, alcune ore più tardi, mi ritrovai accanto a un pianoforte
suonato (magnificamente) da Dario Baldan Bembo, autore di molti dei primi successi di Mimì e musicista di rango col quale in seguito anch’io ebbi il piacere di collaborare. Arrivò lei e, con naturalezza, come si fa tra amici, disse: Dario, cantiamo qualcosa di Elton John?. Cantò e, pur senza pubblico e senza alcun microfono, lo fece anche questa volta magistralmente. Io, al suo fianco, l’ascoltavo in silenzio e, a pochi centimetri dal suo viso, ne potevo cogliere ogni minimo gesto e sfumatura vocale. Tutto trasudava verità e, inscindibile, un senso di malinconia dolce, ma inesorabile. Col senno di poi, adesso so che quella verità e quella malinconia non si sarebbero mai allontanate da quella magnifica creatura artistica. Per Mimì seguirono, inevitabili, successi, premi, trionfi.

Poi avvenne l’incredibile: un noto impresario romano mise in giro la voce che Mia Martini ‘portava male’. All’inizio pensai fosse una cosa senza alcuna importanza, ma io sono un ingenuo. La dinamica della calunnia è descritta benissimo nel “Barbiere di Siviglia” di Rossini, in cui si racconta che ‘la calunnia è un venticello’ che però, un po’ per volta, cresce a dismisura fino a diventare un uragano irrefrenabile. A quel punto la persona calunniata non può fare nulla, perché la calunnia si autoalimenta e da dubbio diventa certezza per tantissimi. Giorno per giorno avanzava il processo di distruzione psicologica della povera Mimì. Me la ritrovai in una sala d’incisione milanese, a metà degli anni ’80. Veniva ad accompagnare la sua amica Aida Cooper, impegnata come corista in un mio album. Mimì era spenta. I suoi occhi non emanavano più la loro naturale luce. Era trasandata, spettinata, vestita non male, peggio … aveva addosso qualche indumento di chi è obbligato a mettersi qualcosa, qualunque cosa prima di uscire. Si stava lasciando andare. Non aveva più energia da contrapporre a tanta cattiveria. Nella sua bella mente d’artista una cattiveria di quella portata non trovava posto nemmeno come lontana ipotesi. Chi non pratica la pratica non sa neanche difendersene.

Mi vengono in mente tante persone e fatti…ma non voglio parlare di me! Il pubblico spesso rimane all’oscuro di tutto. Al di fuori degl addetti ai lavori, ben pochi sapevano quello che stava succedendo. Il discorso Mia Martini veniva liquidato con poche parole: ‘Ve la ricordate? Era brava, ma non si sente più…’. In quel periodo mi capitò di cantare, prima di lei, in un concerto con una marea di gente. Quando andò in scena lei, rimase poca gente distratta ad ascoltarla. Mi piangeva il cuore, perché lei cantava concentrata, ispirata, come se avesse avuto davanti il miglior pubblico del mondo. Non è vero che il pubblico ha sempre ragione. Il pubblico subisce condizionamenti continui e le sue reazioni sono spesso il risultato di operazioni decise a sua insaputa. Un pubblico consapevole si sarebbe reso conto anche quella sera del miracolo artistico che stava avvenendo su quel palcoscenico.

Invece c’era quella colpevole freddezza, dovuta semplicemente al fatto che in quel momento Mia Martini non era presente sulle copertine dei giornali e nei programmi televisivi di punta. Alcune delle maggiori riviste neanche scrivevano più il nome d’arte di Mimì. Scrivevano solo Mimì Bertè, perché raccontavano che ‘portava male’ anche semplicemente scrivere ‘Mia Martini’.

Una notissima cantante danneggiò coi tacchi il tetto dell’auto su cui viaggiava perché pretendeva che il suo impresario facesse un giro di centinaia di chilometri in più, pur di non passare da Bagnara Calabra, perché, diceva: ‘porta male anche passare vicino al paese di quella lì.’ Ad un altro notissimo collega rubarono la macchina, come succede spesso, ovunque. La sua spiegazione fu: ‘lo sapevo … poco fa ho incontrato quella lì!....’.

Potrei continuare a raccontare tanti altri episodi simili ai quali ho assistito, ma, mentre ne parlo, sto male. Io….immaginate come doveva stare male l’interessata! Ma torniamo a quel giorno in cui, con Aida Cooper, incontrai anche lei. Non volevo toccare direttamente discorsi spiacevoli. Cercavo di misurare le parole. Mi sembrava di maneggiare qualcosa di meraviglioso, ma ormai ridotto all’estrema fragilità. Le dissi: Mimì quando ci farai ascoltare un nuovo disco?. E lei, con un filo di voce, quasi senza espressione, rispose: No…basta! Non ne ho più voglia! Non voglio più cantare!. Non puoi farlo! – aggiunsi - Una come te deve cantare, perché nessuno ti può sostituire. Forse la mia insistenza le fece piacere, ma ugualmente sembrò irremovibile.

Passò qualche anno e, finalmente, il Festival di Sanremo regalò una delle più belle emozioni della sua storia quando sul palcoscenico apparve una rinata Mia Martini, di nuovo in forma, elegante, intensa come nei suoi migliori momenti. O forse come non era mai stata. Almeno tu nell’universo, capolavoro firmato da Bruno Lauzi e Maurizio Fabrizio, fu la canzone della rinascita. Mimì aggiunse alla bellezza della canzone l’enorme riserva di vita vissuta nel frattempo, con tutta la lucida sofferenza che ne aveva costituito l’elemento dominante. Anche per questo motivo nessuno potrà mai cantare quella canzone come lei. Il pubblico riprese ad affollare i suoi concerti. Tutti ricominciarono a volerla. Una sera la rividi in concerto in gran forma. Ripropose tutto il meglio del suo repertorio, aggiungendo delle canzoni che, pur conosciutissime, sembravano inedite grazie alla sensibilità con cui le amava e le faceva sue. Parlo di brani storici come La donna cannone di De Gregori o Imagine di John Lennon.


Dopo il concerto andai a salutarla in camerino. Mi accolse con una dolcezza nella quali colsi un po’ d’imbarazzo. Ebbi l’impressione che volesse dirmi qualcosa che la intimidiva.

Poi, con la leggerezza di una farfalla, mi abbracciò e, a bassissima voce, come se mi stesse confidando un segreto, vicino all’orecchio, mi disse: Non so come ringraziarti perché so che parli sempre bene di me. Quelle parole, quell’abbraccio delicato, non li dimenticherò mai.

Sapete tutti come poi sia finita. La domenica di maggio in cui si ebbe notizia della tragedia che chiudeva l’esistenza di Mimì, io ero ospite a Domenica in per presentare la mia canzone Angeli in prestito, che avevo composto per la scomparsa di mia madre. Non potevo fare a meno di pensare anche a Mimì mentre cantavo ‘Io ti ho vissuta come un’abitudine, leggera come neve, ma abitudine…Risento tra le note il gusto popolare della tua voce…ma gli angeli li abbiamo solo in prestito. Il vento, prima o poi, se li riporta via…’.

Una piccola nota finale: adesso che quell’angelo non c’è più, ognuno può pensarla come vuole, ma a me viene naturale riservare un supplemento di affetto in più alla sorella Loredana, anche quando non la capisco; anzi, come dice una mia amica, soprattutto quando non la capisco, perché è proprio allora che Loredana ne ha più bisogno. Sarà un modo di rendere omaggio a quella sua sorella, artista immensa e donna sfortunata.

Stupendamente unica!

Anni dopo, nel 1995, subito dopo la sua scomparsa, Franco Simone viene invitato a partecipare al primo omaggio fatto da Bagnara Calabra. Dietro le quinte dimostra una grande pazienza nel gestire l’esuberanza di Loredana Bertè che lo provoca nel dirgli: ma sei venuto qui per fare un concerto? Trova, invece, il coraggio di lanciare una invettiva con parole belle e dure:

Mi dispiace rompere il clima di festa collettiva che c’è qui stasera, ma credo che quello di Mia Martini sia stato un omicidio collettivo, è stata ammazzata prima, giorno dopo giorno, dall’ambiente, per volere di tante cattiverie, se c’era una che non le meritava era lei, è stata una vera, autentica artista, ci ha lasciato queste incisioni meravigliose attraverso le quali ci arriva sempre la sua anima, troppo grande per un mondo che bada alla forma e non alla sostanza.

Articolo riportato parzialmente nel libro Mia Martini. La voce dentro



venerdì 18 gennaio 2013

Le confessioni di Mia Martini: Padre davvero, la Spiritualità e altro….


Mia Martini una cantante, un’artista vera che non è scesa a compromessi. L’unica che , sin dagli inizi della sua carriera si permette di parlare e di affrontare nelle interviste rilasciate di qualunque argomento, anche quello della esperienza del carcere che le ha permesso di scoprire l’esistenza di Dio.



Voglio raccontare di un uomo meraviglioso, Don Fresi, un sacerdote eccezionale al quale devo se sono riuscita a superare quel triste periodo, ricavandone anche motivi validi per la mia rinascita. Don Fresi era un sacerdote povero. Di lui mi ricordo le mani screpolate dai geloni. Era povero, ma era ricco di umanità. Fu lui il primo ad essermi vicino quando, dopo il mio insano gesto, quando cioè tentai di farla finita con la vita ingoiando tutte le pastiglie di tranquillanti che avevo, ritornai a vivere. Seppe consolarmi, seppe trovare le parole giuste.

Quando apprese che ero una cantante mi chiese se avrei cantato per lui durante la Santa Messa. Lo accontentai e lui ne fu così felice che decisi di organizzare una cosa che lo avrebbe reso ancora più felice. Il suo cruccio era che la Messa in carcere riservata alle donne fosse sempre deserta, c’ero solo io: In carcere c’erano delle donne, ma nessuna che volesse ascoltare la Messa, accostarsi al confessionale. Io, con pazienza, riuscii a convincerne quattro a venire con me alla Messa. Le preparai anche al canto. Non dissi niente a Don Fresi, doveva essere anche per lui una sorpresa. E così fu: ricorderò sempre, quella mattina, il viso di Don Fresi quando vide che eravamo in cinque donne nella cappella del carcere. E poi, quando ci mettemmo a cantare tutte e cinque, noi povere cinque squallide, Don Fresi non resse alla commozione, si mise a piangere e, piangendo, cantò con noi. Povero Don Fresi, non lo dimenticherò mai.

Voglio anche rivelare il segreto delle quattro puntine luminose che appiccico al mio naso. Non l’ho mai raccontato a nessuno.

Quando, sempre nel carcere, riaprii gli occhi uscendo dal coma provocatomi dalle pastiglie di sonnifero, la prima cosa che vidi furono le grate della stanza, l’infermiera della prigione, dove mi avevano sistemata. Allora, per non vedere le grate, girai il capo e vidi, appoggiata allo stipite della porta, una donna. Era una donna giovane e bellissima, era indiana, e sul suo naso brillavano quattro punti. A me quella donna, soprattutto quei piccoli quattro punti che brillavano, che vedevo subito dopo aver visto una grata, diedero la sensazione della libertà. Ecco perché adesso li porto sempre.



domenica 13 gennaio 2013

Compagni di viaggio di Mia Martini. Intervista a Giancarlo Parisi




Incontriamo Giancarlo Parisi a Messina in un afoso pomeriggio d’estate. Raccogliamo da lui notizie e curiosità del Tour Per aspera ad astra nel quale è stato splendido musicista.

C.M. Questa collaborazione con Mia Martini, come è nata?
G.P. Sono stato chiamato da Mark Harris, quando il progetto era già pronto. Reduce dal successo riportato nella tournèe Le nuvole con Fabrizio De Andrè, ho accettato subito.

C.M. Il rapporto artistico tra te e Mimì.
G.P. Con lei si è creato un buon feeling, a tal punto che nei concerti estivi (nella tournèe Lacrime , n.d.r.) abbiamo improvvisato: io suonavo la zampogna, lei si inseriva con una tarantella tratta dal Folk calabrese e riuscivamo a coinvolgere il pubblico presente.

C.M. Hai qualche aneddoto da raccontare su questo tour?
G.P. Mah, Mimì era molto esigente nei confronti dei musicisti, soprattutto quando questi non la convincevano, per cui spesso si creavano delle tensioni. Aggiungi a tutto questo anche il nervosismo e lo stress accumulati strada facendo. L’ultimo concerto l’abbiamo tenuto allo Sporting di Montecarlo, anticipando la chiusura della tournèe, in quanto Mimì ha avuto problemi sia di salute sia con l’Agenzia Cose di Musica.

C.M. Sul palco come si superavano queste tensioni?
G.P. Non si superavano. Di solito, i cantanti arrivano mezz’ora prima del concerto per cui non c’era molto tempo per stare insieme.

C.M. Gli arrangiamenti di Per aspera ad astra, realizzati da Mark Harris, sono stati in parte successivamente modificati da Marco Falagiani.
G.P. Mark Harris inizialmente doveva fare di più; non essendoci stata un’intesa con l’artista, il suo ruolo è stato molto ridotto all’interno dello spettacolo. Difatti, siamo andati a provare a Firenze con le nuove partiture di Falagiani. Mimì nella sua carriera ha avuto raramente periodi di affiatamento con i suoi collaboratori, anche perché più un’artista è conosciuta, più diventa esigente. Nella tournèe successiva a quella di Lacrime, infatti, si è creato un ottimo feeling tra lei e il maestro Gilberto Martellieri, molto umano e comprensivo.

C.M. Sul palco c’era spazio per l’improvvisazione?
G.P. Solitamente si tende a rifare ciò che c’è sul disco il meglio possibile, cercando di dare l’aspetto della musica dal vivo. Con Mia Martini c’erano momenti in cui si improvvisava e ci lasciava più liberi nei suoni; in ogni caso, si parte dal repertorio già esistente o dalle esperienze fatte in tournèe con altri gruppi.

C.M. Le tue impressioni sull’artista Mia Martini nelle sua dimensione live.
G.P. Lei ha grande professionismo e presenza sul palco, è un personaggio di altissimo livello, non mi ricordo che abbia stonato o sbagliato qualche volta. Una stabilità artistica notevole, con questa sua capacità di cambiare in ogni suo brano i dettagli dell’interpretazione. Un’artista del suo livello, però, dovrebbe essere considerata come una Edith Piaf e un mito della musica italiana, senza essere costretta a frequentare continuamente i festival di Sanremo per confermare la sua bravura.

C.M. Mimì aveva qualche difficoltà a realizzare i suoi progetti.
G.P. E’ un problema legato al provincialismo esistente nell’ambiente discografico per cui si sottovalutano quelli che sono i veri artisti e si da spazio a quelli che non hanno spessore. Mimì doveva essere al di sopra di questa logica discografica, purtroppo in questo mondo il livello culturale è basso e si manda avanti gente come Laura Pausini. In iTalia, se fai delle cose mediocri, trovi il mercato fertile, quando vuoi fare il salto di qualità, sei impossibilitato per i criteri commerciali utilizzati dalle case discografiche. Mimì con le sue esigenze non poteva accontentarsi di un testo o di un musicista qualunqu, per lei avrebbe dovuto comporre un De Andrè.

Pippo Augliera Intervista apparsa sulla fanzine Chez Mimì n 20 e parzialmente nel libro La regina senza trono

domenica 6 gennaio 2013

La lettera di Adriano Celentano a Mia Martini



Pubblichiamo l’invettiva ad una trasmissione TV e la bellissima lettera di Adriano Celentano, dedicata a Mia Martini, pervasa anche di toni mistici-spirituali, apparsa sul Corriere della Sera, dopo la scomparsa dell'artista:


Si può uccidere senza sparare. Per ammazzare le persone abbiamo un’arma molto sofisticata. Basta dire che quella persona porta scalogna. E così che è stata uccisa Mia Martini. Non perché si drogasse, ma perché isolata dal rito barbarico degli scongiuri. Il male non si fa col pensiero, né con il colore viola. Ci vogliono azioni: una parola, un pugno, uno schiaffo.

Finalmente si è capito chi sono quelli che veramente portano iella: quelli del mondo dello spettacolo. Certo non tutti, ma una gran parte di questo mondo di merda, pieno di ipocrisia deve avere qualche rimorso: in fin dei conti hanno contribuito non poco ad accorciare la vita di Mia Martini: e non parlo solo dei colleghi cantanti, ma dei fonici, dei musicisti, microfonisti, editori, arrangiatori e affini, che quando la vedevano si toccavano dando corso al barbarico rito degli scongiuri, mentre lei (una delle migliori interpreti d'Europa) l'unica cosa che chiedeva ai falsi dello spettacolo era solo un po' di affetto.


giovedì 3 gennaio 2013

Malcostume italiano. L’ostracismo a Mia Martini. Articolo di Nantas Salvalaggio.


Lo scrittore Nantas Salvalaggio, scomparso qualche anno fa, ha scritto nel 1989 uno splendido e incisivo articolo sul ritorno di Mia Martini che riportiamo.

 Il ritorno alla ribalta della brava cantante nell’ultimo Festival di Sanremo per molti è stato una sorpresa. Da tempo ormai mancava dalle scene. Ad allontanarla era stata una voce diffamatoria: porta iella. E il superstizioso mondo dello spettacolo aveva infierito.

Si sa che questa è la moda: sparlare del Festival di Sanremo. Uno scrittore non si sente appagato, realizzato se non ha prima bersagliato musicanti e cantori con le sue freccette avvelenate. Ma tutto questo è prevedibile, e anche un tantino noioso. Il pubblico sa bene che snobbare Cutugno o Anna Oxa è come sparare sulla Croce Rossa o fare lo sgambetto alle buone dame della San Vincenzo. Il coraggioso commentatore di costume avrebbe ben altri pretesti di polemica, se solo volesse: per esempio i sotterranei privilegi di cui godono i figli, i nipoti o i fratelli dei potenti. Ma questi sono ‘temi a rischio’: le castagne bruciano i polpastrelli, a cavarle dal fuoco. E allora i ‘donchisciotte da corsivo’ preferiscono cimentarsi sui campi di battaglia del varietà e della musica leggera, dove i cannoni sparano tutt’al più coriandoli.


Una buona azione

A costo di apparire nei panni del bastian contrario, dirò bene del trentanovesimo Festival. E non tanto per il livello artistico raggiunto, o l’efficacia della organizzazione, per le papere dei presentatori o le scollature delle lady in platea. Il patron della kermesse canora va lodato per un fatto minuscolo, forse sfuggito ai più: ha compiuto una buona azione. E opponendosi alla bieca rivalità, o alla superstizione ebete di alcuni lestofanti del sottobosco canoro, ha tirato fuori dall’ombra una cantante di classe: Mia Martini.

Quando Mia ha terminato il suo pezzo, un giovinetto tra il pubblico ha commentato: Però che voce! Un altro ha detto: Questa Mia Martini piaceva a mia madre… pensavo che si fosse ritirata in convento .

No, Mia Martini non si era fatta suora, non aveva preso i voti o indossato i panni delle Carmelitane scalze. Ma era come se. Una sorta di impalpabile, inspiegabile congiura le aveva scavato il vuoto intorno, E perché mai?, si chiederà l’ingenuo lettore. Cosa aveva fatto la bruna e gracile Mia? Aveva forse complottato contro lo Stato? O tramato nei ranghi occulti della P2? Oppure aveva venduto segreti militari oltre il sipario di ferro? Macchè, niente di tutto questo. La spiegazione è semplice e aberrante: alcune pie anime avevano sparso la voce che Mia Martini ‘portasse iella’. Chiunque lavorasse con lei, si malignava, era destinato a incappare in qualche guaio fisico, o catastrofe finanziaria.

Sì, lo so, sembra una cattiva favola dei fratelli Grimm. Ma questo è il motivo principale per cui Mia Martini è stata emarginata per un decennio. Però non chiedetele una conferma, si sentirebbe costretta a negare. Perché si vergogna di quello che è accaduto: se ne vergogna per conto di alcuni suoi colleghi. D’altra parte, siamo seri: che cosa potete aspettarvi da certi industriali del disco, la cui base è lo studio della Smorfia, il manuale del gioco del Lotto?

Alt. Non vi aspettate da me un panegirico sulla signora Martini. Non spingerò la difesa di una buona causa fino al punto da sostenere che la cantante, sul palcoscenico di Sanremo, fosse elegante e armoniosa come una modella di Vogue. Purtroppo era stata mal consigliata e peggio addobbata.

Ma la voce, la passione, l’arte del buon canto…ecco, in quel campo Mia Martini è bene lasciarla stare. Magra, esile, a volte spaurita, mi ha ricordato per certi aspetti una delle più grandi cantanti del dopoguerra: Edith Piaf, detta il Monello, o anche il Passerotto.


A scanso di eventuali equivoci mi corre l’obbligo di aggiungere che non sono amico di Mia Martini, non conosco i suoi genitori, né tantomeno frequento sua sorella Loredana Bertè, o il suo futuro cognato, Bjorn Borg. L’unica volta che ho incontrato Mia è stato a Venezia, per puro caso, una decina di anni fa. Siamo andati a cena alla Taverna. Era con noi quel mago della canzone che si chiama Charles Aznavour, soprannominato l’istrione. Dico la verità, ero andato al teatro Malibran per intervistare Aznavour. Egli aveva fatto tappa a Venezia dopo un giro trionfale dei teatri italiani, al fianco di Mia Martini.

Mia Martini con Charles Aznavour
La prima cosa che ho chiesto ad Aznavour, quando a piedi ci siamo diretti verso San Marco, è stata questa: Come mai hai scelto proprio Mia per fare coppia sul palcoscenico?. Aznavour mi ha fissato con quei suoi occhi furbi e ironici.: Ma, mio caro, dica una cosa, ha sospirato: lei è del mestiere? Beh, se è del mestiere la sua domanda non sta in piedi. Mia è fra le due o tre voci di donna che mi danno un vero piacere.

Il successo si paga


Qualunque altra donna, attrice o cantante o ballerina, alle parole di Aznavour si sarebbe alzata sulle punte dei piedi, avrebbe messo su un po’ d’arie, e sculettato superbamente tra la folla. Invece, niente. E’ stata quasi sempre in silenzio, come una scolaretta affascinata, a seguire i racconti dell’istrione che parlava dei suoi giri del mondo. Mia, che succede?, ha chiesto a un certo punto Aznavour. Non sarai diventata muta tutta in un colpo?. Oh, no, sto benissimo, ha sorriso Mia, con naturalezza. Il fatto è che mi diverto così. A me piace ascoltare.

Io non so come siano andate poi le cose, ma ho il sospetto che l’eclissi di Mia Martini sia cominciata dopo la sua clamorosa tournée con Charles Aznavour. Il successo in qualche modo bisogna pagarlo. Le iene sono sempre in agguato. Non perdonano.

Note biografiche

Era anche giornalista. Aveva 85 anni. Nantas Salvalaggio, nato a Venezia il 17 settembre 1923, ha iniziato come corrispondente per "Epoca" ed il "Corriere della Sera" da New York, Parigi e Londra, da dove realizzò grandi interviste, come quella a Marylin Monroe. Poi, una volta tornata in Italia, la casa editrice Mondadori gli affida il progetto di una nuova rivista: "Panorama". Di "Panorama" Salvalaggio è il fondatore, nel 1962 e la diresse fino al 1965. Salvalaggio, che esordì come romanziere nel 1953 con "Il vestito di carta", fu anche Premio Strega nel 1986 per il romanzo “Fuga da Venezia”.

Intervista apparsa nel libro La regina senza trono