Per molti anni è stata tenuta nascosta, quasi azzittita da un ambiente ostile e maligno. Lei Domenica Bertè, Mimì per gli amici, Mia Martini per il pubblico, aveva dimostrato agli inizi degli anni settanta che la musica cosiddetta leggera poteva avere una dignità insospettata. Oggi si fa presto a osannare una Mannoia, una Mina o una Oxa. Poco più di dieci anni fa avere un successo con una canzone d’amore (e d’autore) era quasi una colpa. Mia già allora cantava con uno spirito tutto diverso, tutto cantautore, tutto suo . I suoi album racchiudevano pezzi dignitosissimi di autori in erba ma che proprio con lei sono diventati famosi. Come Maurizio Fabrizio o Dario Baldan Bembo. Eppure quella che rimane oggi la voce più interessante femminile italiana, ha taciuto per tantissimo tempo. Nell’81 “Mimì” la trovava autrice di se stessa. Paolo Conte le regalava “Spaccami il cuore” bocciato a qualche festival di Sanremo. Ivano Fossati le scriveva fra le altre “E non finisce mica il cielo”. Un album dal vivo suonava come un testamento prematuro e tutti erano sicuri che Mia aveva deciso di appendere al chiodo la sua voce, schiacciata dalle mille difficoltà. Nel frattempo Loredana Bertè, la sorella irrequieta, si faceva largo combinandone di tutti i colori, e a volte anche azzeccando qualche colpo giusto; è Mia, quasi di nascosto, che le fa i cori in “Non sono una signora”.
Nel 1983 Mia si trasferisce in una casa di campagna, a Calvi dell’Umbria, e per molti è una sorta di auto-esilio. Lo scorso anno la ritroviamo invece a sorpresa a Napoli dove registra dei provini con delle canzoni di Enzo Gragnaniello. Poi Sanremo ’89 fra tante malefatte, ne fa una buona e ci riporta Mia Martini con “Almeno tu nell’universo” brano firmato a quattro mani da Bruno Lauzi e Maurizio Fabrizio.
Nel 1983 Mia si trasferisce in una casa di campagna, a Calvi dell’Umbria, e per molti è una sorta di auto-esilio. Lo scorso anno la ritroviamo invece a sorpresa a Napoli dove registra dei provini con delle canzoni di Enzo Gragnaniello. Poi Sanremo ’89 fra tante malefatte, ne fa una buona e ci riporta Mia Martini con “Almeno tu nell’universo” brano firmato a quattro mani da Bruno Lauzi e Maurizio Fabrizio.
Il nuovo album è un tuffo rinnovato nella voce e nella sensibilità che ci avevano tanto appassionato in passato. Ci sono momenti di intellettuale lirismo (“Notturno”, “Il colore tuo” e “Amori” di Armando Trovajoli che Maurizio Fabrizio le ha costruito intorno con un’orchestra da George Gershwin). C’è una sua composizione “Spegni la testa” dal titolo fin troppo rivelatorio. E poi tre pezzi di Gragnaniello di cui almeno due (“Donna” e “Strade che non si inventeranno mai da sole”) di grande impatto.
Un ritorno atteso? Più che altro inaspettato. Come questa intervista che parte parlando dei libri che popolano una tranquilla casa di campagna.
°Mi piace molto leggere, rimango talmente tanto coinvolta dalla lettura di un libro che quando sto per arrivare alla fine, un po’ mi dispiace. E’ come lasciare un amico, qualcuno che ti ha tenuto compagnia per un po’ di tempo. Mi mette tristezza finire un libro.
D:Quali sono i libri che preferisci?
°Guarda, leggo dei libri che sono dei mattoni. Innanzitutto, non mi piacciono i romanzi, la narrativa, tranne cose come “La montagna incantata” o “Cent’anni di solitudine”. Mi piace tantissimo Eco, lo so che è di moda dirlo, ma per questa volta seguo la moda. E poi mi piace leggere Shakespeare, trattati di psicanalisi, terribili come “L’io della mente” o “I King”, oppure leggere la storia del Cenacolo di Leonardo da Vinci. Delle cose terrificanti! Ma anche letterature dialettali calabresi, siciliane e napoletane. E infatti sono piena di dizionari di molti dialetti italiani. Quello napoletano è il più facile da trovare, mentre per quello calabrese ho cercato anni per scoprire alla fine che ne esiste solo uno veramente completo ed è scritto da un tedesco!
D:E queste letterature ti aiutano nella tua musica?
°Certamente, tutto quello che mi da emozioni mi aiuta. La musica non è fatta di poche cose, m di tutto quello che respiri, quello che ti sta intorno.
D:Torniamo per un momento indietro, agli inizi della tua carriera. Nel 1970 hai vinto il Festival di Nuove tendenze di Viareggio. Cosa succedeva allora?
°Succede una rivoluzione completa nei gusti e nei costumi. Ci fu un cambiamento totale, si respirava aria di rinnovamento. Per molti anni si è seguita quella strada, anche perché una seconda volta, a livello di contenuti non c’è più stata. Se c’è stato un cambiamento, è stato a livello tecnico.
D:Chi erano gli amici di allora, gli artisti che frequentavi?
°Sono in gran parte gli stessi di oggi, come Francesco De Gregori o per la stampa Fabrizio Zampa.
D:E Renato Zero?
°L’amicizia con Renato risale ancora prima. Abbiamo vissuto praticamente insieme quando avevamo sedici anni a Roma. Artisticamente non ho mai fatto nulla con lui, faceva parte della mia vita. Ha lavorato con Loredana, e poi è diventato grandissimo dopo molti anni. Quest’anno, prima del Festival di Sanremo, si era parlato di una nostra collaborazione. Era un’idea di Renato, che poi non si è realizzata principalmente a causa mia. Non volevo che la nostra amicizia inquinasse il lavoro, anche perché non giustifica una collaborazione. Queste mie perplessità sono poi svanite quando lui è partito per Londra per registrare il suo prossimo album con Westley e io mi sono affrettata a finire il mio disco.
D:Nel tuo primo album, “Oltre la collina” compariva un timido Baglioni alle prime armi, come te lo ricordi?
°Con Baglioni c’è stata una magnifica collaborazione. Già allora faceva delle cose splendide che però non venivano capite e assecondate dai discografici. Il nostro incontro fu guidato da Antonio Coggio che era produttore di entrambi. “Oltre la collina” era proprio una poesia bellissima che lui aveva scritto e che chiude l’LP. Ma c’erano anche altri pezzi suoi, come “Le lacrime di Marzo”; “Gesù è mio fratello”, “Ossessioni”, dove abbiamo anche cantato insieme che era il famoso “Taking Off”. Claudio è stato un po’ la base di quell’album che ancora oggi amo da morire.
D:Poi è arrivato “Piccolo uomo” che era di Bruno Lauzi come “Almeno tu nell’universo”.
°Ed è stata un’altra avventura. Arrivavo dagli studi della RCA di Roma ad incidere a Milano per la Ricordi. In quel periodo conobbi Giovanni Sanjust, un manager con cui sono tornata insieme proprio in questi ultimi tempi.
D:Nell’album “Nel mondo, una cosa” c’erano due cover importanti di due brani, uno di Elton John e uno di John Lennon.
°Sì, “Mother” di Lennon di cui avevo tradotti il testo e “Border song” di Elton John. Sono due autori che già allora mi facevano impazzire. Lennon l’ho amato tantissimo, tanto che per lui cominciai ad interessarmi anche a Yoko Ono. Anni fa ero talmente dentro la musica di Yoko che avevo pensato di tradurre qualche sua canzone. Mi piaceva la sua semplicità, il suo modo di arrivare dritta al nocciolo della questione. A quell’epoca Yoko Ono era vista come un nemico ei sostenitori dei Beatles. Io ho sempre pensato che una donna ch gli aveva ispirato “Woman is the nigger of the world” non poteva essere una nullità. Poi nei mesi scorsi ho letto quel brutto libro su John di Albert Goldman e mi sono convinta che è stata lei a farlo uccidere, ne sono proprio sicura. Ed ora non mi piace più.
D:Ma era difficile agli inizi degli anni settanta imporre nel proprio repertorio una canzone di Lennon?
°Io non mi sono mai posta questi problemi, ho sempre fatto le cose che mi piacevano. Non ho mai pensato di assecondare le richieste di nessuno, tantomeno del pubblico. Non lavoro al supermercato. Ho sempre fatto le mie proposte che a volte sono piaciute e a volte no, ma io ci ho sempre creduto.
D:Eppure spesso, l’ambiente musicale è un supermercato.
°Perché molti artisti e produttori vengono incanalati in un negozio a seconda dei consumi. Chi va a finire nel negozietto artigianale, chi alla Standa. Ci sono tipi di prodotti per tutti.
D:E il negozio che tu hai frequentato più spesso?
°Quello di hi-fi, inteso proprio come alta fedeltà.
D:Continuando a scavare fra i tuoi album, arriviamo a “Il giorno dopo”…dove c’era “Minuetto”, un altro pezzo di Elton John, “Your song”, e “Ma quale amore” di Antonello Venditti. Di Venditti so che dovevi interpretare un altro brano, “Ruba”, che poi non è mai stato pubblicato…
°Come fai a saperlo? Io non me lo ricordavo più. Avevo fatto il provino e da qualche parte ce lo dovrei avere ancora. Anzi, mi hai dato un’idea, se riesco a trovarlo mi piacerebbe vedere di inserirlo nei miei prossimi concerti. Antonello era un altro del gruppo di allora. Mi ricordo anche dei fratelli La Bionda, Dario Baldan Bembo, Maurizio Fabrizio, Maurizio Piccoli.
D:Poi nel 1978 c’è stato un album importantissimo, “Danza”, fatto insieme a Ivano Fossati.
°E’ stato come uno sconvolgimento tellurico per me quel disco. Sono cambiati i miei pensieri, la mia testa. La copertina sintetizzava questo mio nuovo corso umano e artistico: uno stivale di gomma giallo che dava un calcio ad una coppa di champagne. E’ un album che amo molto, ma dentro c’è tanto dolore, perché da lì, più o meno sono cominciati dieci anni di una storia sconvolgente con Ivano.
D:Ci sono state difficoltà a livello discografico per portare avanti quel disco?
°Sì, ma da quel momento la difficoltà maggiore diventò il nostro rapporto personale, che era veramente pazzesco.
D:Hai mai avuto problemi discografici volendo lavorare con artisti e autori che non rientravano nella squadra della tua casa discografica?
°Sempre. Infatti la mia prima causa, quella che poi mi ha distrutto la vita, è nata da una questione di principio: avevo avuto la proibizione della Ricordi di fare pezzi di autori non compresi nel contratto editoriale Ricordi. Addirittura il brano “Questi miei pensieri” l’ho inciso di nascosto, e con uno stratagemma siamo riusciti a farlo pubblicizzare senza che si accorgessero che non era roba loro. Era diventato impossibile lavorare. Per qualcuno non si trattava proprio di musica e anzi se parlavo di scelte artistiche ti mettevano subito al palo.
D:Dopo altre peripezie, hai cominciato a scrivere da sola le tue canzoni.
°Ho sempre scritto qualche testo fin dall’inizio. Quando ho cominciato in maniera massiccia è stato per crearmi un alibi per allontanarmi gradualmente dall’ambiente. All’inizio non ci credevo molto, poi mi sono appassionata.
D: Chi ti ha spinto a scrivere?
°Sicuramente Ivano, ma poi tutte le cose improvvisamente mi sembravano lo spunto giusto per scrivere.
D:In quegli anni la tua vita era resa ancora più dura da una serie di voci orribili sul tuo conto, in pratica eri diventata una persona portasfortuna.
°Esatto. Una serie di coincidenze hanno creato questa fama che oltre ad essere assolutamente falsa, è decisamente pesante da portare. Forse ho sbagliato io all’inizio che per sdrammatizzare enfatizzavo la situazione. Mi sono trovata in trappola e ancora oggi sento una certa ostilità nei miei confronti. Mi sento boicottata.
D:Per tutti Mia Martini aveva deciso di ritirarsi, di non cantare più.
°Ma per fortuna la mente umana non è così decisa, non c’è nulla di assoluto.
D:Cosa ti aveva spinto veramente a ritirarti?
°La stessa cosa che mi aveva portato all’alibi dello scrivere, a sentirmi a tutti i costi cantautrice. Il bisogno di prendere un po’ di tempo per me stessa. In quegli anni avevo vissuto tutto troppo velocemente, avevo bisogno di prendere un respiro profondo.
D:E in questo ritiro hai praticamente saltato molte stagioni musicali, una cosa che tutto sommato è servita a mantenerti integra nelle tue posizioni.
°Forse vuoi dire che sono riuscita a non contaminarmi? Vero, anche se dubito che mi sarei contaminata. Ma in un certo senso mi sono tenuta lontana da molti veleni…
D:…E da molte imposizioni che oramai subiscono anche i grandi, i nomi fino a ieri inviolabili.
°Forse mi sarebbe venuto il cancro! Oggi sto finalmente bene, e credimi ho passato dei momenti in cui ero veramente ammalata.
D:Da questo nuovo album, dove compaiono ben tre pezzi di Enzo Gragnaniello, traspare un amore sconfinato per la musica napoletana.
°C’è sempre stato. Amo moltissimo Napoli e i napoletani e credo che se non esistessero bisognerebbe inventarli perché sono intelligenti e fantasiosi. Anche nel luogo comune del piccolo truffatore napoletano, non c’è mai violenza, è sempre un gioco fra due cervelli, il napoletano ti da un’alternativa, ti fa capire che sta tentando di fregarti, e se poi ci riesce ha ragione lui.
D:Chi ti piace fra i musicisti napoletani?
°In senso assoluto Pino Daniele. Un grande artista mi piace sempre anche nelle sue contraddizioni, proprio perché in queste puoi vedere la sofferenza e la maturazione. Pino senz’altro ha vissuto chissà quanto intensamente diverse situazioni, altrimenti non avrebbe potuto darci stupende emozioni che ci ha dato, e quindi anche quelli che sono sembrati momenti di rilassamento in realtà sicuramente nascondevano una ricerca, una verifica di qualcosa.
D:Quindi la sofferenza è necessaria al momento creativo…
°Per crescere sì. Ma non è una cosa che si fa a fini artistici. Credo che il legame fra artista ed essere umano dovrebbe essere indissolubile, bisogna crescere da tutte e due le parti, altrimenti si rimane zoppi non si può essere Pino Daniele solo da una parte.
D:Cosa ti aspetti da questo disco?
°Che piaccia molto, moltissimo.
D:C’è stata molta emozione al Festival di Sanremo. E’ come se in molti si fossero guardati in faccia chiedendosi: ma cosa le abbiamo fatto, dove l’abbiamo dimenticata, dove l’abbiamo nascosta?
°Penso che incida moltissimo il fatto di avermi ritrovato improvvisamente. Ho sentito molto calore e affetto, è stato come dire: “Bentornata!”
D:Ma pensi di essere più nascosta tu o di essere stata nascosta?
°No, non mi sono nascosta, mi sono sola tolto un po’ di torno. Le tasse mi hanno trovata, eccome! Mi è arrivata una cartella del ’74 di ottanta milioni! Forse sono stata un po’ boicottata e questo mi ha fatto crescere improvvisamente.
D:E quello che ha scritto di te Aldo Busi?
°Busi è simpaticissimo. Ho letto il suo articolo in cui criticava il mio look e l’ho subito chiamato, perché mi sembra una dichiarazione d’amore. E’ totalmente innamorato della mia arte, lui vuole vestire una voce, e il fatto che in mezzo a questa arte ci sia purtroppo di mezzo pure una persona, gli da quasi fastidio, perché io fisicamente contamino la mia arte.
D:Quale è l’autore che ti piacerebbe cantare di più?
°Ancora Pino Daniele. E poi De Gregori, nel mio album dal vivo “Miei compagni di viaggio” ho fatto “Alice”, ma mi piacerebbe che facesse qualcosa per me.
D:Siamo proprio sicuri che non scapperai di nuovo?
°Non c’è nessuna garanzia, ma questa volta credo che sia un ritorno convinto.
Intervista di Marco Cestoni apparsa su BLU 1989
Un ritorno atteso? Più che altro inaspettato. Come questa intervista che parte parlando dei libri che popolano una tranquilla casa di campagna.
°Mi piace molto leggere, rimango talmente tanto coinvolta dalla lettura di un libro che quando sto per arrivare alla fine, un po’ mi dispiace. E’ come lasciare un amico, qualcuno che ti ha tenuto compagnia per un po’ di tempo. Mi mette tristezza finire un libro.
D:Quali sono i libri che preferisci?
°Guarda, leggo dei libri che sono dei mattoni. Innanzitutto, non mi piacciono i romanzi, la narrativa, tranne cose come “La montagna incantata” o “Cent’anni di solitudine”. Mi piace tantissimo Eco, lo so che è di moda dirlo, ma per questa volta seguo la moda. E poi mi piace leggere Shakespeare, trattati di psicanalisi, terribili come “L’io della mente” o “I King”, oppure leggere la storia del Cenacolo di Leonardo da Vinci. Delle cose terrificanti! Ma anche letterature dialettali calabresi, siciliane e napoletane. E infatti sono piena di dizionari di molti dialetti italiani. Quello napoletano è il più facile da trovare, mentre per quello calabrese ho cercato anni per scoprire alla fine che ne esiste solo uno veramente completo ed è scritto da un tedesco!
D:E queste letterature ti aiutano nella tua musica?
°Certamente, tutto quello che mi da emozioni mi aiuta. La musica non è fatta di poche cose, m di tutto quello che respiri, quello che ti sta intorno.
D:Torniamo per un momento indietro, agli inizi della tua carriera. Nel 1970 hai vinto il Festival di Nuove tendenze di Viareggio. Cosa succedeva allora?
°Succede una rivoluzione completa nei gusti e nei costumi. Ci fu un cambiamento totale, si respirava aria di rinnovamento. Per molti anni si è seguita quella strada, anche perché una seconda volta, a livello di contenuti non c’è più stata. Se c’è stato un cambiamento, è stato a livello tecnico.
D:Chi erano gli amici di allora, gli artisti che frequentavi?
°Sono in gran parte gli stessi di oggi, come Francesco De Gregori o per la stampa Fabrizio Zampa.
D:E Renato Zero?
°L’amicizia con Renato risale ancora prima. Abbiamo vissuto praticamente insieme quando avevamo sedici anni a Roma. Artisticamente non ho mai fatto nulla con lui, faceva parte della mia vita. Ha lavorato con Loredana, e poi è diventato grandissimo dopo molti anni. Quest’anno, prima del Festival di Sanremo, si era parlato di una nostra collaborazione. Era un’idea di Renato, che poi non si è realizzata principalmente a causa mia. Non volevo che la nostra amicizia inquinasse il lavoro, anche perché non giustifica una collaborazione. Queste mie perplessità sono poi svanite quando lui è partito per Londra per registrare il suo prossimo album con Westley e io mi sono affrettata a finire il mio disco.
D:Nel tuo primo album, “Oltre la collina” compariva un timido Baglioni alle prime armi, come te lo ricordi?
°Con Baglioni c’è stata una magnifica collaborazione. Già allora faceva delle cose splendide che però non venivano capite e assecondate dai discografici. Il nostro incontro fu guidato da Antonio Coggio che era produttore di entrambi. “Oltre la collina” era proprio una poesia bellissima che lui aveva scritto e che chiude l’LP. Ma c’erano anche altri pezzi suoi, come “Le lacrime di Marzo”; “Gesù è mio fratello”, “Ossessioni”, dove abbiamo anche cantato insieme che era il famoso “Taking Off”. Claudio è stato un po’ la base di quell’album che ancora oggi amo da morire.
D:Poi è arrivato “Piccolo uomo” che era di Bruno Lauzi come “Almeno tu nell’universo”.
°Ed è stata un’altra avventura. Arrivavo dagli studi della RCA di Roma ad incidere a Milano per la Ricordi. In quel periodo conobbi Giovanni Sanjust, un manager con cui sono tornata insieme proprio in questi ultimi tempi.
D:Nell’album “Nel mondo, una cosa” c’erano due cover importanti di due brani, uno di Elton John e uno di John Lennon.
°Sì, “Mother” di Lennon di cui avevo tradotti il testo e “Border song” di Elton John. Sono due autori che già allora mi facevano impazzire. Lennon l’ho amato tantissimo, tanto che per lui cominciai ad interessarmi anche a Yoko Ono. Anni fa ero talmente dentro la musica di Yoko che avevo pensato di tradurre qualche sua canzone. Mi piaceva la sua semplicità, il suo modo di arrivare dritta al nocciolo della questione. A quell’epoca Yoko Ono era vista come un nemico ei sostenitori dei Beatles. Io ho sempre pensato che una donna ch gli aveva ispirato “Woman is the nigger of the world” non poteva essere una nullità. Poi nei mesi scorsi ho letto quel brutto libro su John di Albert Goldman e mi sono convinta che è stata lei a farlo uccidere, ne sono proprio sicura. Ed ora non mi piace più.
D:Ma era difficile agli inizi degli anni settanta imporre nel proprio repertorio una canzone di Lennon?
°Io non mi sono mai posta questi problemi, ho sempre fatto le cose che mi piacevano. Non ho mai pensato di assecondare le richieste di nessuno, tantomeno del pubblico. Non lavoro al supermercato. Ho sempre fatto le mie proposte che a volte sono piaciute e a volte no, ma io ci ho sempre creduto.
D:Eppure spesso, l’ambiente musicale è un supermercato.
°Perché molti artisti e produttori vengono incanalati in un negozio a seconda dei consumi. Chi va a finire nel negozietto artigianale, chi alla Standa. Ci sono tipi di prodotti per tutti.
D:E il negozio che tu hai frequentato più spesso?
°Quello di hi-fi, inteso proprio come alta fedeltà.
D:Continuando a scavare fra i tuoi album, arriviamo a “Il giorno dopo”…dove c’era “Minuetto”, un altro pezzo di Elton John, “Your song”, e “Ma quale amore” di Antonello Venditti. Di Venditti so che dovevi interpretare un altro brano, “Ruba”, che poi non è mai stato pubblicato…
°Come fai a saperlo? Io non me lo ricordavo più. Avevo fatto il provino e da qualche parte ce lo dovrei avere ancora. Anzi, mi hai dato un’idea, se riesco a trovarlo mi piacerebbe vedere di inserirlo nei miei prossimi concerti. Antonello era un altro del gruppo di allora. Mi ricordo anche dei fratelli La Bionda, Dario Baldan Bembo, Maurizio Fabrizio, Maurizio Piccoli.
D:Poi nel 1978 c’è stato un album importantissimo, “Danza”, fatto insieme a Ivano Fossati.
°E’ stato come uno sconvolgimento tellurico per me quel disco. Sono cambiati i miei pensieri, la mia testa. La copertina sintetizzava questo mio nuovo corso umano e artistico: uno stivale di gomma giallo che dava un calcio ad una coppa di champagne. E’ un album che amo molto, ma dentro c’è tanto dolore, perché da lì, più o meno sono cominciati dieci anni di una storia sconvolgente con Ivano.
D:Ci sono state difficoltà a livello discografico per portare avanti quel disco?
°Sì, ma da quel momento la difficoltà maggiore diventò il nostro rapporto personale, che era veramente pazzesco.
D:Hai mai avuto problemi discografici volendo lavorare con artisti e autori che non rientravano nella squadra della tua casa discografica?
°Sempre. Infatti la mia prima causa, quella che poi mi ha distrutto la vita, è nata da una questione di principio: avevo avuto la proibizione della Ricordi di fare pezzi di autori non compresi nel contratto editoriale Ricordi. Addirittura il brano “Questi miei pensieri” l’ho inciso di nascosto, e con uno stratagemma siamo riusciti a farlo pubblicizzare senza che si accorgessero che non era roba loro. Era diventato impossibile lavorare. Per qualcuno non si trattava proprio di musica e anzi se parlavo di scelte artistiche ti mettevano subito al palo.
D:Dopo altre peripezie, hai cominciato a scrivere da sola le tue canzoni.
°Ho sempre scritto qualche testo fin dall’inizio. Quando ho cominciato in maniera massiccia è stato per crearmi un alibi per allontanarmi gradualmente dall’ambiente. All’inizio non ci credevo molto, poi mi sono appassionata.
D: Chi ti ha spinto a scrivere?
°Sicuramente Ivano, ma poi tutte le cose improvvisamente mi sembravano lo spunto giusto per scrivere.
D:In quegli anni la tua vita era resa ancora più dura da una serie di voci orribili sul tuo conto, in pratica eri diventata una persona portasfortuna.
°Esatto. Una serie di coincidenze hanno creato questa fama che oltre ad essere assolutamente falsa, è decisamente pesante da portare. Forse ho sbagliato io all’inizio che per sdrammatizzare enfatizzavo la situazione. Mi sono trovata in trappola e ancora oggi sento una certa ostilità nei miei confronti. Mi sento boicottata.
D:Per tutti Mia Martini aveva deciso di ritirarsi, di non cantare più.
°Ma per fortuna la mente umana non è così decisa, non c’è nulla di assoluto.
D:Cosa ti aveva spinto veramente a ritirarti?
°La stessa cosa che mi aveva portato all’alibi dello scrivere, a sentirmi a tutti i costi cantautrice. Il bisogno di prendere un po’ di tempo per me stessa. In quegli anni avevo vissuto tutto troppo velocemente, avevo bisogno di prendere un respiro profondo.
D:E in questo ritiro hai praticamente saltato molte stagioni musicali, una cosa che tutto sommato è servita a mantenerti integra nelle tue posizioni.
°Forse vuoi dire che sono riuscita a non contaminarmi? Vero, anche se dubito che mi sarei contaminata. Ma in un certo senso mi sono tenuta lontana da molti veleni…
D:…E da molte imposizioni che oramai subiscono anche i grandi, i nomi fino a ieri inviolabili.
°Forse mi sarebbe venuto il cancro! Oggi sto finalmente bene, e credimi ho passato dei momenti in cui ero veramente ammalata.
D:Da questo nuovo album, dove compaiono ben tre pezzi di Enzo Gragnaniello, traspare un amore sconfinato per la musica napoletana.
°C’è sempre stato. Amo moltissimo Napoli e i napoletani e credo che se non esistessero bisognerebbe inventarli perché sono intelligenti e fantasiosi. Anche nel luogo comune del piccolo truffatore napoletano, non c’è mai violenza, è sempre un gioco fra due cervelli, il napoletano ti da un’alternativa, ti fa capire che sta tentando di fregarti, e se poi ci riesce ha ragione lui.
D:Chi ti piace fra i musicisti napoletani?
°In senso assoluto Pino Daniele. Un grande artista mi piace sempre anche nelle sue contraddizioni, proprio perché in queste puoi vedere la sofferenza e la maturazione. Pino senz’altro ha vissuto chissà quanto intensamente diverse situazioni, altrimenti non avrebbe potuto darci stupende emozioni che ci ha dato, e quindi anche quelli che sono sembrati momenti di rilassamento in realtà sicuramente nascondevano una ricerca, una verifica di qualcosa.
D:Quindi la sofferenza è necessaria al momento creativo…
°Per crescere sì. Ma non è una cosa che si fa a fini artistici. Credo che il legame fra artista ed essere umano dovrebbe essere indissolubile, bisogna crescere da tutte e due le parti, altrimenti si rimane zoppi non si può essere Pino Daniele solo da una parte.
D:Cosa ti aspetti da questo disco?
°Che piaccia molto, moltissimo.
D:C’è stata molta emozione al Festival di Sanremo. E’ come se in molti si fossero guardati in faccia chiedendosi: ma cosa le abbiamo fatto, dove l’abbiamo dimenticata, dove l’abbiamo nascosta?
°Penso che incida moltissimo il fatto di avermi ritrovato improvvisamente. Ho sentito molto calore e affetto, è stato come dire: “Bentornata!”
D:Ma pensi di essere più nascosta tu o di essere stata nascosta?
°No, non mi sono nascosta, mi sono sola tolto un po’ di torno. Le tasse mi hanno trovata, eccome! Mi è arrivata una cartella del ’74 di ottanta milioni! Forse sono stata un po’ boicottata e questo mi ha fatto crescere improvvisamente.
D:E quello che ha scritto di te Aldo Busi?
°Busi è simpaticissimo. Ho letto il suo articolo in cui criticava il mio look e l’ho subito chiamato, perché mi sembra una dichiarazione d’amore. E’ totalmente innamorato della mia arte, lui vuole vestire una voce, e il fatto che in mezzo a questa arte ci sia purtroppo di mezzo pure una persona, gli da quasi fastidio, perché io fisicamente contamino la mia arte.
D:Quale è l’autore che ti piacerebbe cantare di più?
°Ancora Pino Daniele. E poi De Gregori, nel mio album dal vivo “Miei compagni di viaggio” ho fatto “Alice”, ma mi piacerebbe che facesse qualcosa per me.
D:Siamo proprio sicuri che non scapperai di nuovo?
°Non c’è nessuna garanzia, ma questa volta credo che sia un ritorno convinto.
Intervista di Marco Cestoni apparsa su BLU 1989
Il video di Notturno
http://www.youtube.com/watch?v=ZuOsM4VQ9X8
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