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giovedì 2 giugno 2011

Mia Martini. L’amore non è come il morbillo. Intervista 1976




Mia Martini quest’anno sta compiendo una lunga tournèe attraverso i più noti locali italiani, cantando, oltre i suoi successi, le nuove canzoni del suo recente ellepì “Che vuoi che sia…se t’ho aspettato tanto”.

Niente vacanze estive quest’anno per Mia Martini. Reduce dal Festival della “Rosa d’oro” a Cap D’Antibes, ha subito iniziato una serratissima tournée che la terrà impegnata fino ai primi di settembre.
Ci sarà, poi, il tradizionale appuntamento con la finale del Festivalbar, la manifestazione che è un po’ il mio portafortuna’, dice Mia, ‘e non bisogna dimenticare le presenze alla radio, qualche passaggio televisivo, i soliti premi e premiolini da ritirare qua e là….Insomma non avrò un momento libero, lavorerò come una matta mentre tutti, o quasi, si godranno le meritate ferie.

Lo scorso anno s’era concessa al pubblico col contagocce, durante l’estate. Poche serate, quelle nei locali di maggiore prestigio. Adesso, invece, s’è gettata nella mischia, ed è forse la più impegnata tra tutte le cantanti sulla “piazza” estiva.
Come mai hai cambiato tattica? L’anno scorso facevi la preziosa, quest’anno ti butti allo sbaraglio…
Non si tratta di una tattica. L’estate scorsa ho dovuto forzatamente rinunciare a fare molte serate perché avevo degli impegni televisivi. Dovevo registrare “La compagnia stabile della canzone” con Christian De Sica, Gino Paoli, Cocciante, Nazzaro e la Cinquetti. E ho fatto bene a preferire la televisione alle serate, visto che quello spettacolo ha riscosso un notevole successo.

Alle tue serate partecipa anche Dario Baldan Bembo, il cantautore che ha firmato i tuoi primi successi. Si tratta di una “riconciliazione”, visto che negli ultimi anni lo avevi “tradito” o no?
E’ vero, da tre anni non cantavo delle canzoni scritte da Dario. Ma tra noi non c’era stata una “rottura”, eravamo rimasti amici. Se lo “tradivo”, come autore, era solo perché lui non aveva i pezzi giusti da affidarmi, o magari per particolari esigenze della mia casa discografica. A Dario devo molto, è lui l’autore di “Piccolo uomo”, “Donna sola”, “Inno”, e quindi ha fatto da trampolino al mio successo. Sono felice di riaverlo con me, questa volta anche in veste di cantante, di collega insomma.

Tu canti da parecchi anni: ti sembra che il pubblico di oggi sia diverso da quello del tuo esordio?
Nei miei confronti sì, senza dubbio, dal momento che alle mie prime apparizioni non mi ha preso in considerazione, mentre adesso mi tratta con i guanti. Ma forse il pubblico è cambiato anche in senso generale, è maturato. Anni fa era più di bocca buona, si lasciava “plagiare” dal “personaggio”, senza badare troppo alla sostanza. Ora, invece, i “personaggi” non attaccano più, se non hai talento non vai avanti.

Con la tua ultima canzone, “Che vuoi che sia”, sei tra le favorite per la vittoria al “Festivalbar”. Ma tu credi al Festival, alle gare canore?
Mi è piuttosto difficile non crederci, perché io sono arrivata al successo proprio vincendo una di queste gare. Nel ’72 ho vinto il “Festivalbar” con “Piccolo uomo”, e l’anno dopo ho fatto il bis con “Minuetto”. Senza quelle affermazioni, probabilmente non sarei riuscita a emergere. Certo, in teoria i Festival sono sorpassati, il pubblico non si lascia più condizionare da questo tipo di manifestazioni. Però, in pratica, servono ancora. O, per lo meno, a me sono servite.

Tu hai dovuto lottare molto, per affermarti……..., hai fatto una “gavettaccia”. Pensi che il successo debba essere “sofferto”, per essere valido e per durare?
Forse sì. Se raggiungi il successo con troppa felicità, ti convinci che tutto ti è dovuto, ti monti la testa, è inevitabile. Lottare, soffrire, invece, ti insegnano a essere umile e ad apprezzare quello che hai conquistato con tanta fatica. Credo che anche il pubblico tenga conto di questo, nel valutare un artista. Se vede che ha tenuto duro, nonostante il successo sia tardato a venire, si convince che non si tratta di un bluff, e lo rispetta.

Dici che i “personaggi” non attaccano più. Tu, però, quando ti sei affermata facevi leva anche sul “personaggio”: quello di una ragazza un po’ hippy, un po’ “maledetta”, che aveva avuto delle noie per una “fumatina”…
Sembravo un “personaggio” costruito ad arte, forse, ma in realtà ero proprio così, in quel periodo. Le grane per aver “fumato” le ho avute sul serio, non me le sono inventate, e i miei atteggiamenti da hippy erano spontanei. Penso che il pubblico lo abbia intuito, abbia capito che ero “autentica”. Altrimenti non sarebbe stato al gioco, puoi giurarci.

Adesso, però, non sei più una hippy: sei diventata una donna elegante, raffinata, ti trucchi sapientemente, ti piacciono i gioielli e le pellicce….
Be’, da bambina giocavo con le bambole, e crescendo ho smesso. Per la stessa ragione, dieci anni fa ero una hippy e ora sono una persona normalissima. Si cresce, si matura, non lo sapevi? Ogni età, ogni periodo della nostra vita, ha i suoi atteggiamenti, la sua “coreografia”.
Molti critici ti considerano, in Italia, “seconda” a Mina. Sei d’accordo?
No. E non perché pretenda di essere al primo posto, ma semplicemente perché secondo me non ha senso stilare delle classifiche del genere. I cantanti si dividono solo in due categorie: quelli di talento, e i cani. Poi, naturalmente, ci sono quelli più o meno bravi, o più o meno cani, ma il giudizio è soggettivo e dato che l’unico giudice valido è il pubblico finiamo per avere milioni di giudizi diversi.
Tua sorella Loredana Bertè sta consolidando il suo successo, è ormai diventata molto popolare. Avete sempre detto che non esisteva rivalità, tra di voi: ma lo dicevate quando tu eri già celebre mentre Loredana era ancora agli inizi della carriera…
Non è cambiato niente, e non cambierà neppure se Loredana dovesse avere più successo di me. Il fatto che sia mia sorella non c’entra, però. La verità è che io non ho mai considerato le altre cantanti come delle “rivali”. Il mio è un rapporto diretto con il pubblico, e canto per dare il meglio di me tessa, non per dimostrarmi più in gamba di Mina o di Loredana Bertè.

Tua sorella ha già preso parte a un paio di film. Tu non hai avuto delle offerte per debuttare sullo schermo?
Sì, ma non si trattava di cose interessanti. Mi piacerebbe combinare qualcosa nel cinema, naturalmente, ma lo farei solo se avessi l’opportunità di partire col piede giusto. Dieci anni fa avrei ragionato diversamente, ma allora non avevo niente da perder. Adesso sì.

Sembri tenere parecchio all’eleganza. Segui la moda?
No, in genere preferisco “farla”, inventarla, determinarla. Cambio spesso gusti, e mi vesto di conseguenza, senza tener troppo conto se sono in regola con la moda corrente o meno.

Se vedi una giovane cantante che ti imita chiaramente, cosa provi?
Della pena….Non si può far carriera imitando gli altri, a meno di scegliera la professione di Alighiero Noschese, e se una cantante cerca di sfondare facendo il verso a me o a qualche illustre collega, è destinata in partenza a bruciarsi.

In tutta sincerità, ti sembra più “riuscita” l’artista Mia Martini o la donna Domenica Bertè, detta Mimì?
L’artista, indubbiamente. Anche se, a pensarci bene, è difficile valutare il “successo” di una donna, nell’ambito di un’esistenza normale. Quand’è che una donna è “riuscita”? Quando realizza la propria felicità coniugale? Quando mette al mondo dei figli belli e sani? O quando si rende indipendente, si afferma, raggiunge il successo professionale?

A settembre compirai ventinove anni. La trentina incalza…Ti crea qualche problema, questo?
No, non direi. Mi piace maturare, sentirmi una donna fatta. Non mi è mai piaciuto essere una ragazzina, mi faceva sentire insicura. A trent’anni, invece, si è nel pieno della vita. Penso che sia l’età più bella, per una donna.

La maggior parte delle donne, a trent’anni si sono già fatte una famiglia, però….
Ma l’amore, il matrimonio non sono come il morbillo, o il servizio militare. Non può avere una scadenza fissa, andiamo! Non ci si “deve” sposare, non bisogna sentirlo come un obbligo sociale. Ci si sposa quando si incontra la persona giusta. In caso contrario, è molto più dignitoso restar zitelle, credimi.

Barbra Streisand dice che “la musica è tutto”, per lei, e che condiziona tutta la sua esistenza. Tu come la pensi?
La musica, per me, è molto, moltissimo, ma non può essere tutto. Mi ha aiutato a maturare, mi ha dato il successo, la sicurezza economica e tantissime soddisfazioni, ma se fosse “tutto” per me diventerebbe una palla al piede, una prigione più o meno dorata. No, io riesco anche a vivere la mia vita, non mi annullo completamente nella mia professione.

Intervista apparsa su "Il monello" 1976

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