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sabato 13 novembre 2010

Le ali della mente: Stefano Senesi e il suo feeling da musicista con Mia Martini


L'incontro avviene a Roma. Stefano, musicista che ha al suo attivo grandi collaborazioni come quella con Renato Zero, racconta la sua esperienza professionale con Mia Martini iniziata nel 1989, dopo il suo ritorno a Sanremo con "Almeno tu nell'universo".

Un'artista come Mia Martini ha sempre creduto profondamente nelle sue scelte artistiche, anche se purtroppo ha dovuto combattere con le esigenze delle case discografiche che magari pensano di fare una migliore promozione magari con brani scritti per una interprete da autori affermati. Lei poteva avere in partenza un suo obiettivo di lavoro, qualche volta poi doveva modificare alcune cose rispetto al suo pensiero iniziale, dovuto alle imposizioni dei discografici.

Mimì era una artista che cercava di cantare ciò che le piaceva, se ne fregava di queste imposizioni, anche se in qualche modo doveva bilanciare, come tutti gli artisti del resto. Nella vita i compromessi ci sono sempre, specialmente nel mondo musicale sono all'ordine del giorno, bisogna vedere fino a che punto possono impedire di essere te stesso, oppure accettarli senza perdere in credibilità, mi sembra che Mimì rientrasse in tutto questo.

Io credo di essere entrato in sintonia con il suo mondo perché le nostre sensibilità artistiche provenivano da culture che per certi versi sono andate parallele, a lei piacevano i Beatles e anche a me. Lei riusciva ad avere rapporti buoni con alcuni musicisti, per una questione soprattutto di affinità. Considero,infatti, un'operazione bella il disco jazz con Maurizio Giammarco perché è la prova di come si può lasciare a delle forme un po' differenti da certi canoni, cercare di interpretare con un modo diverso e competente, andando al di là di un certo standard e degli esiti commerciali. I più bistrattati, a livello di opinione comune, si rivelano quegli artisti che, come Mimì, sono degli innovatori, perché la ricerca è sempre stata osteggiata nel campo della musica. Poi, quando muoiono…

Mimì ha sempre cercato di fare un qualcosa che la potesse arricchire, che non fosse uguale al disco fatto in precedenza, lo dovrebbero fare tutti, ma non lo fa quasi nessuno.
La mia collaborazione con Mimì è stata determinata da Massimo Fumanti e Maurizio Galli che già la conoscevano. Dopo Sanremo dell'89, doveva iniziare una tournèe e loro le hanno suggerito il mio nome da inserire nel gruppo, ha dato l'okay, ci siamo conosciuti, non c'è una storia da scrivere sul nostro incontro, c'è da evidenziare il feeling che si è creato tra noi due.
Ci siamo anche detti le cose meno positive: ogni discussione con lei era molto aperta, ci sono stai, quindi, degli scontri che,sul momento, potevano risultare abbastanza duri e conflittuali, ma a distanza di tempo si sono rivelati costruttivi, per la nostra crescita professionale e personale. Se c'è un'affinità di sensazioni, c'è anche un'affinità negli scontri.

Mimì è stata veramente importante per il mio lavoro, riusciva a darti sul palco delle emozioni ad ampio spettro, che nessun'altra cantante oggi in Italia ti da, ti faceva venire la voglia di suonare, c'era una grande stima. Mimì non accettava compromessi, non aveva vie di mezzo, o tutto o niente, per chi la frequentava superficialmente, si lasciava influenzare dalle apparenze, poteva risultare non amabile e simpatica, il suo era un carattere viscerale per cui potevano sorgere dei piccoli problemi.

Io penso che Mimì era una di quelle persone che quando ci lavoravi ti potevi pure 'scazzare', amarla profondamente quando suonavi, riusciva comunque ad impressionarti, a lasciare un segno con la sua forte personalità, con il suo dire ciò che pensava. E la gente non è abituata a questo…
Mimì, pur non essendo una musicista, era in grado con la sua grande esperienza di capire chi si accostava di più alla sua sensibilità, non era tanto interessata alla bravura o alla tecnica spaventosa, le importava quanto il mondo di questo musicista fosse vicino al suo spirito e in grado di cogliere quello che lei volesse.

Con Mimì non potevi fare l'impiegato della musica, guadagnare dei soldi e basta, eri 'quasi costretto' a lasciarti trasportare e suonare, non per far vedere quanto sei capace ma come espressione che va al di là della propria faccia, al di là di tutto. Ricordo molti episodi belli di questo nostro sodalizio, proprio nel momento in cui suonavamo e cantavamo insieme comunicando attraverso le occhiate di complicità che davano la tessitura dello spettacolo, perché eravamo tempestivamente presenti nel trasmettere reciprocamente.

Il pubblico ha bisogno di sentire artisti veri, non è poi così deficiente come alcuni critici vogliono far intendere per i loro scopi o perché prendono le mazzette dalle case discografiche. Mimì era brava ad interpretare tutto da "Almeno tu nell'universo" ai pezzi etnici firmati da Mimmo Cavallo e probabilmente era questa sua duttilità che dava fastidio. Perché deve essere un fastidio quando l'artista parla di sé, che vogliamo la patina? Non era certo Mimì che la poteva dare, lei si era scelto un mondo suo che era fatto di essenza, di valori quali sono, di persone che vanno a ricercare e che divergeva sempre di più da un certo business del mercato discografico, da operazioni a tavolino. Lei era fatta così e non voleva cambiare, aveva deciso di percorrere una strada ben precisa, piena di ostacoli, convinta e determinata, in grado di andare incontro alla sofferenza per avere il rispetto e la stima di tutti.

Non posso essere critico nei suoi confronti perché l'ho sempre sentita vicina alle mie scelte, anche quando si è lasciata prendere dalla sua impulsività. Ha avuto nel corso degli anni tante difficoltà, proprio per questa suo essere viscerale che le ha fatto vivere situazioni di gioia, ma anche delusioni incredibili.
Continuerò a volerle bene, resta una tra le più brave, uno straordinario talento artistico.

Pippo Augliera per Chez Mimì

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