La saga di una
donna tormentata da
Minuetto e Piccolo uomo fino a Lacrime. Calore umano
totale sincerità senza rete.
Non è certo la
pazienza che manca a Mia Martini. Paragonata a quella di altri interpreti di ben
minore levatura, la sua carriera artistica è stata una specie di martirio
lento, un saliscendi vertiginoso punteggiato di successi forti e silenzi
lunghi, ripensamenti personali e stupide maldicenze. E ogni volta, per 22 anni
si è dovuta tirare su le maniche e quasi ricominciare. Per fortuna, non le
manca neanche l’ironia. Ed eccola, a 45 anni e con la vittoria morale di
Sanremo in tasca, debuttare con uno show maiuscolo, intitolato Per aspera ad
astra, più aspera ed astra di così non sarebbe umanamente possibile.
Il primo
concerto del tour, l’altra sera al Palazzo dei Congressi di Bologna, ha rivelato un allestimento
finalmente degno del personaggio. Pepi Morgia (che sta preparando il tour
mondiale di Elton John) le ha costruito una regia essenziale, con pochi ed
elegantissimi grandi fasci di luce bianca, un leggio, una sedia dove far talvolta
quietare il sentimento del canto. Alle spalle, come un sole, la grande cipolla
affettata simbolo dell’ultimo album “Lacrime”. Perché di lacrime gronda non
solo l’lp, qui appena accennato, ma tutto il recital che ripercorre i successi
di questa faticosa carriera: quello della matura ragazza di Bagnara Calabra è
un mondo esagerato ma vivo, palpitante, credibile, e ha trovato sulla su strada
gli arrangiamenti di Mark Harris, eccellente tastierista americano
collaboratore di De Andrè e Gaber, che ha costruito atmosfere blues, jazz e di
etno musica.
La
sofisticatezza di Harris placa bene gli eccessi di Mimì, vestita Armani.
Smoking nero nella prima parte, smoking bianco nella seconda, corta zazzera
nera. Calore umano totale, sincerità senza rete. In sala, urli e invocazioni
partecipi di un pubblico misto, ragazzi, coppie eleganti e pittoreschi
travestiti, gente che vive i sentimenti in modo maiuscolo, proprio come li
canta lei che però sempre si concede una via di fuga con una risata amara.
Stazioni di un rosario sull’universale cattiveria maschile, le canzoni
cominciano con la sanremese Gli uomini non cambiano e subito si proiettano
all’indietro con Padre davvero qui in un lamento blues. Mia chiede: ‘Ma sei
sicuro che sia tua figlia?’, fra interrogativi devastanti a catena, un po’
confusa appare Piccolo uomo, grande successo 1972. A volte è rovinosa l’ansia
di trasformare un brano troppo sentito. Un delicato tocco di cembalo
elettronico ripropone Minuetto (‘Vieni sempre a casa mia/ quando vuoi/ sono sempre
fatti tuoi) e Inno è un incontro elegante di basso, batteria e canto. Mia
sostiene di esser senza voce, ma bisogna vedere con che classe domina le
raucherie e le trasforma in sussurri dolenti.
C’è anche una
piccola parentesi calabrese, con due tenere canzoni in dialetto, quasi a
riposare questa guerra dei sentimenti senza risparmio. ‘Riderò per distrarti,
giocherò per calmarti’ canta Mia in Per amarti. Che fatica essere donne, in
quel modo lì. Mia affronta anche un discorso personale: l’incontro artistico
con Ivano Fossati per l’lp Danza, diventato una lunga storia d’amore, racconta la decisione di smettere di cantare, canta Vecchio sole di pietra e
spiega: ‘il pezzo dell’addio, fra me e Fossati era chiaro che sarebbe durata
pochissimo. Il risultato è una contiana Spaccami il cuore che sigla la saga
di una donna tormentata.
Nella seconda
parte del recital, s’insinuano Enzo Gragnaniello e la sua napoletanità:
fioriscono classici come Luna rossa o la nuova Scenne l’argiento, ma
l’incontro fra due personalità tanto prepotenti finisce per mortificare
entrambi. Mia ritorna su Fossati per La costruzione di un amore, una versione
da togliere il fiato. Gran finale, naturalmente, su Lacrime: ‘Vorrei bere il
detersivo’, canta lei inesausta. Poi sorride come se niente fosse. Trionfo.
Marinella
Venegoni per La Stampa 1992
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