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giovedì 19 settembre 2013

Intervista ad Arrigo Cappelletti. Mia Martini e il suo jazz viscerale dal carattere blues



Intervista a Arrigo Cappelletti, pianista jazz con il quale Mia Martini ha collaborato nel periodo 91/95, realizzando alcuni concerti dal vivo con brani che meriterebbero essere editati in digitale. Ecco la piacevole chiacchierata concessa al club Chez Mimì.

Come è nata la collaborazione con Mimì?
Nel ’91,  in occasione di un concerto a Torino, poco prima della sua tournèe con Maurizio Giammarco. Lei aveva lavorato con un pianista, Gilberto Martellieri, si era rivolta a Cose di Musica, chiedendo un sostituto ed è stato fatto il mio nome. Mimì è venuta a casa mia, abbiamo provato , si è creato subito un ottimo feeling musicale e anche, direi, umano. Quel primo concerto è andato molto bene, lei era piena di entusiasmo, voleva fare altre serate, però aveva già programmato la tournèe jazz estiva. Abbiamo ripreso a suonare insieme quando lei ha avuto l’invito a partecipare a Sanremo jazz e successivamente ci sono stati altri concerti. Devo dire, però, che negli ultimi tempi qualcosa si era guastato nei nostri rapporti; il tutto è nato una sera di Bologna nel febbraio ’95. Avevamo fatto un gran bel concerto, ma alla fine mi ha rivolto dei rimproveri perché mi ero mosso in modo totalmente diverso da lei. Al contrario di ciò che avevo pensato, ha continuato a chiamarmi, anche se da allora si è sempre comportata con freddezza.

Lei è conosciuto come un pianista eccellente e, soprattutto, improvvisatore. In questo rapporto di lavoro con Mimì quanto spazio veniva lasciato all’improvvisazione?
Nei nostri concerti veniva lasciato spazio all’improvvisazione, anche perché si provava molto poco. Noi avevamo in comune il fatto di essere viscerali e di sentire, quindi, la musica in modo molto diretto, naturale, istintivo. Spesse volte, proprio come due anarchici incredibili e libertari, salivamo sul palco senza avere le idee chiare, addirittura con una scaletta non definita. Chiaramente questo comportava il rischio di ritrovarsi in una serata senza che ci fosse il feeling giusto. L’anarchismo e la visceralità verso la musica erano elementi che ci univano di più. Ci sono certe registrazioni che mettono in risalto l’energia incredibile che entrambi sprigionavamo in quello che facevamo, una serata molto bella è stata quella di Portofino nel ’94 e della quale esiste una ripresa video effettuata da una emittente privata.

Durante i vostri concerti come riuscivate ad amalgamare un cocktail composto dalla voce arrochita di Mimì con uno spirito blues, da un pianista jazz e da canzoni con una tessitura melodico-pop?
Questo cocktail a volte funzionava bene ed avrebbe potuto avere degli sviluppi futuri, se ci fosse stata in lei una maggiore convinzione, ma aveva paura di questa dimensione musicale raffinata, perché teneva molto alla sua natura di cantante nazional-popolare, al suo rapporto con il grande pubblico. Aveva la sensazione che questa nostra collaborazione la portasse in una direzione un po’ troppo colta, intellettuale. Da una parte era attratta, dall’altra era scettica, Così finisco con l’isolarmi del tutto, io ho bisogno del pubblico, diceva. C’erano in lei questa ambivalenza e conflittualità tra l’esigenza di realizzare performances valide dal punto di vista artistico e di essere apprezzata e avere il successo commerciale e anche popolare; in ultima analisi aveva bisogno di questo contatto fisico con il pubblico.
 

Nel campo jazz, l’atmosfera  si raggiunge sapendo quando e come forzare i propri mezzi. C’era in Mimì questa consapevolezza o c’era magari una tendenza a strafare, ad andare un po’ sopra le righe?
La mia opinione è che Mimì avesse molta consapevolezza più di quanto potesse sembrare. Ultimamente, per problemi vocali, a volte, spingeva un po’ con la voce, quasi ad urlare e questo suo ‘forzare’ era il prodotto di una scelta artistica. Aveva scoperto che doveva cantare in un certo modo, ciò non sempre andava d’accordo con il jazz che è una musica in cui la voce deve sapere intrattenere molto. Con Mimì si può pensare ad un jazz più aggressivo, del quale accentuava la componente più viscerale ed emotiva: il modello diventava, quindi, la musica nera, ovvero il blues, piuttosto che quello europeo appartenente alle cantanti raffinate. E’ chiaro che quando si creavano atmosfere musicali più vicine al jazz io accentuavo molto il carattere blues, non mi veniva di fare degli accordi tipici di un jazz anni ’70. Il contrasto tra il mio essere un musicista ‘gemma-raffinato’, come mi riteneva lei, e la sua visceralità veniva superato nel blues che rappresentava il nostro terreno d’incontro.

Può raccontare qualche episodio o curiosità su Mimì?
Ce ne sono diversi. Eravamo andati a fare un concerto a Marrakech e al ritorno eravamo rimasti bloccati a Casablanca. Qui sono venuti fuori i suoi aspetti più caratteristici: una grande ricchezza interiore accompagnata da uno spiccato senso dell’humour. Oppure a Sanremo jazz: lei si sentiva un pesce fuor d’acqua, prima di salire sul palco ripeteva: Io non sono una jazzista, ti raccomando, fai delle introduzioni lunghe per creare l’atmosfera.  E poi, rivolgendosi al pubblico: Stasera sentirete delle cose che hanno a che fare con il jazz, come se lei non c’entrasse.

Che criterio avete seguito nella scelta dei pezzi?
All’inizio dello spettacolo, Mimì preparava canzoni tratte dal suo repertorio e cantate con le basi, come Mimì sarà di De Gregori, Hotel Supramonte di De Andrè, Almeno tu nell’universo, Gli uomini non cambiano. Insieme facevamo E non finisce mica il cielo, La donna cannone, Minuetto, Amanti, Valsinha, Suzanne, La costruzione di un amore; abbiamo inserito spesso Cu’mme, Piccolo uomo, Reginella, in una versione particolare e jazzata, ed Emozioni di Battisti. Tra i brani che sentiva molto Vedrai vedrai e Spaccami il cuore. Un momento di grande impatto emotivo era rappresentato dall’esecuzione di La vie en rose  e  Ne me quitte pas, appartenenti al repertorio di un’artista, Edith Piaf, che ben si adattava al suo pathos interpretativo e modo di esprimere. Qualche pezzo è stato proposto da me, come “Anna verrà”, che a lei piaceva molto. Abbiamo provato più volte “Una notte in Italia” di Fossati, anche se non l’abbiamo mai inserita nella nostra scaletta. E negli ultimi tempi, mi aveva anche chiesto di scegliere alcuni brani che poi avremmo discusso insieme, tratti dal repertorio di Tom Waits e Randy Newman, ma non c’è stato il tempo.

Scaletta brani:
E non finisce mica il cielo
La donna cannone
Suzanne
Valsinha
Amanti
Minuetto
Piccolo uomo
La costruzione di un amore
Vedrai vedrai
Spaccami il cuore
La vie en rose
Na me quitte pas
Anna verrà
Reginella
Emozioni
Cu’mme

Intervista realizzata da Pippo Augliera, pubblicata integralmente sulla fanzine Chez Mimì n.24 e parzialmente nel libro La regina senza trono.


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