Storia di un contratto finito in tribunale e delle infamanti dicerie che la isolarono da
tutti
I discografici con me hanno sempre guadagnato mentre io ho sempre
pagato . Spesso mi hanno ferita, mancandomi di rispetto come donna e come
artista. Parole dure, taglienti come lame di coltello, pronunciate da Mia
Martini qualche mese fa, all’indomani della pubblicazione del suo ultimo album
“La musica che mi gira intorno".
Un vero e proprio “J’accuse” alla discografia italiana che
rimane bruciante anche se suoi colleghi amici come Bruno Lauzi cercano di
gettare acqua sul fuoco: E’ vero che le case discografiche sono spesso gestite
da persone stupide, ma è altrettanto
vero che gli artisti a volte soffrono di manie di persecuzione. Eppure, a
sentire lei, Mia Martini di motivi per avercela con i discografici ne aveva
parecchi. Soprattutto con quelli della Ricordi che, sosteneva lei, a metà degli
anni ’70 l’avevano quasi ridotta al lastrico. Alla casa discografica milanese
Domenica Bertè, in arte Mia Martini, era arrivata nel ’72, dopo la scadenza
naturale del contratto che la legava alla RCA. Sulla carta quello della Ricordi
fu il suo periodo artistico di maggiore successo: “Piccolo uomo”, “Minuetto”,
“Donna sola”, “Inno”. Eppure fu anche un periodo di incomprensioni, almeno a
giudicare dalla lunga vertenza legale che vide la cantante opposta alla casa
discografica. Fu una causa che la Martini perse, vedendosi condannata a pagare
un risarcimento danni di 200 milioni (pari ad oltre mezzo miliardo di lire oggi
– ndr). ‘Io non avevo quei soldi e così il tribunale fece un sequestro
cautelativo. In pratica, fino a tutti i primi anni Ottanta, tutto quello che
guadagnavo finiva nelle casse della Ricordi’, dichiarò la cantante.
Nel ’76, lasciata la Ricordi, Mia Martini approdò alla “Come
il vento”, casa discografica del suo amico Maurizio Fabrizio. Dopo due album,
però, passò alla WEA, dove realizzò sotto la guida di Ivano Fossati (allora
anche suo compagno) l’album “Danza”. Poi sparì: nessuno voleva lavorare con lei
perché si era fatta la fama di “iettatrice”. Merito di un impresario romano con
cui la Martini aveva avuto un pesante diverbio. A rendere di dominio pubblico
la cosa fu, probabilmente in uno dei suoi tanti sfoghi di cui poi regolarmente
si pentiva, sua sorella Loredana Bertè. La quale, accusata pubblicamente dalla
rivale Donatella Rettore di portare sfortuna, prima di quererarla, ebbe la
bella idea di precisare alla stampa che la collega la confondeva con la
sorella. La frittata era fatta. Il resto lo fecero un drammatico incidente
stradale, in cui morì chi era al suo fianco, e i troppi, infamanti pettegolezzi
che ne seguirono.
L’isolamento di Mia Martini fu spezzato alla fine dell’80
dalla DDD, la casa discografica che aveva lanciato Eros Ramazzotti, che le
propose un contratto. Lì venne valorizzata per quello che era: Una cantante
eccezionale – come ricorda Roberto Galanti, allora responsabile della casa
discografica -, dotata di una musicalità straordinaria, ancora più spiccata di
quella di Mina. Una vera star. In DDD Mia Martini ci rimase sino all’85. Fu
l’unico mio contratto importante che si esaurì naturalmente, senza uno
strascico legale, ricordava nella sua ultima intervista. Mimì non lo rinnovò
perché aveva deciso di ritirarsi dal mondo della musica dopo che “Spaccami il
cuore”, scritta per lei da Paolo Conte, fu rifiutata nell’85 dalla giuria del
Festival di Sanremo per evitare che la “iettatrice” portasse sfortuna alla
manifestazione.
Così, dopo aver venduto tutto (non aveva più un soldo) si
rifugiò prima dai parenti a Bagnara Calabra, suo paese natale, e poi alle porte
di Roma, vicino al suo amico discografico Tonino Coggio. Fu quest’ultimo a
convincerla, nell’89, a tornare sulle scene, interpretando – proprio al
Festival di Sanremo – quella “Almeno tu nell’universo” scritta per lei da
Maurizio Fabrizio e Bruno Lauzi ben undici anni prima. Fu un successo. ‘ Anche
alla Fonit Cetra, mia casa di quel periodo, mi trovai male. Ma in quella
successiva, la Polygram, fu peggio.
Mi obbligarono a presentarmi al Festival di
Sanremo del ’94 con un pezzo orrendo, perché senza il Festival, dicevano, non
sapevano come fare per vendere il mio disco. Fui felice quando mi scartarono.
Stracciai il contratto e me ne andai alla RTI, la quale fu costretta a pagare
le mie penali alla Polygram. E’ solo l’ultima delle mie disavventure con i
discografici. Una gran bella razza, non c’è che dire.
Parola di Mimì.
Gigi Rancilio Maggio 1995
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1 commento:
Grande Mia sempre nei nostri pensieri ed oltre.
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