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sabato 10 maggio 2014

Le confessioni di Mia Martini: le colpe dei discografici

 
Storia di un contratto finito in tribunale  e delle infamanti dicerie che la isolarono da tutti

I discografici con me hanno sempre guadagnato mentre io ho sempre pagato . Spesso mi hanno ferita, mancandomi di rispetto come donna e come artista. Parole dure, taglienti come lame di coltello, pronunciate da Mia Martini qualche mese fa, all’indomani della pubblicazione del suo ultimo album “La musica che mi gira intorno".
Un vero e proprio “J’accuse” alla discografia italiana che rimane bruciante anche se suoi colleghi amici come Bruno Lauzi cercano di gettare acqua sul fuoco: E’ vero che le case discografiche sono spesso gestite da persone stupide,  ma è altrettanto vero che gli artisti a volte soffrono di manie di persecuzione. Eppure, a sentire lei, Mia Martini di motivi per avercela con i discografici ne aveva parecchi. Soprattutto con quelli della Ricordi che, sosteneva lei, a metà degli anni ’70 l’avevano quasi ridotta al lastrico. Alla casa discografica milanese Domenica Bertè, in arte Mia Martini, era arrivata nel ’72, dopo la scadenza naturale del contratto che la legava alla RCA. Sulla carta quello della Ricordi fu il suo periodo artistico di maggiore successo: “Piccolo uomo”, “Minuetto”, “Donna sola”, “Inno”. Eppure fu anche un periodo di incomprensioni, almeno a giudicare dalla lunga vertenza legale che vide la cantante opposta alla casa discografica. Fu una causa che la Martini perse, vedendosi condannata a pagare un risarcimento danni di 200 milioni (pari ad oltre mezzo miliardo di lire oggi – ndr). ‘Io non avevo quei soldi e così il tribunale fece un sequestro cautelativo. In pratica, fino a tutti i primi anni Ottanta, tutto quello che guadagnavo finiva nelle casse della Ricordi’, dichiarò la cantante.

Nel ’76, lasciata la Ricordi, Mia Martini approdò alla “Come il vento”, casa discografica del suo amico Maurizio Fabrizio. Dopo due album, però, passò alla WEA, dove realizzò sotto la guida di Ivano Fossati (allora anche suo compagno) l’album “Danza”. Poi sparì: nessuno voleva lavorare con lei perché si era fatta la fama di “iettatrice”. Merito di un impresario romano con cui la Martini aveva avuto un pesante diverbio. A rendere di dominio pubblico la cosa fu, probabilmente in uno dei suoi tanti sfoghi di cui poi regolarmente si pentiva, sua sorella Loredana Bertè. La quale, accusata pubblicamente dalla rivale Donatella Rettore di portare sfortuna, prima di quererarla, ebbe la bella idea di precisare alla stampa che la collega la confondeva con la sorella. La frittata era fatta. Il resto lo fecero un drammatico incidente stradale, in cui morì chi era al suo fianco, e i troppi, infamanti pettegolezzi che ne seguirono.

L’isolamento di Mia Martini fu spezzato alla fine dell’80 dalla DDD, la casa discografica che aveva lanciato Eros Ramazzotti, che le propose un contratto. Lì venne valorizzata per quello che era: Una cantante eccezionale – come ricorda Roberto Galanti, allora responsabile della casa discografica -, dotata di una musicalità straordinaria, ancora più spiccata di quella di Mina. Una vera star. In DDD Mia Martini ci rimase sino all’85. Fu l’unico mio contratto importante che si esaurì naturalmente, senza uno strascico legale, ricordava nella sua ultima intervista. Mimì non lo rinnovò perché aveva deciso di ritirarsi dal mondo della musica dopo che “Spaccami il cuore”, scritta per lei da Paolo Conte, fu rifiutata nell’85 dalla giuria del Festival di Sanremo per evitare che la “iettatrice” portasse sfortuna alla manifestazione.

Così, dopo aver venduto tutto (non aveva più un soldo) si rifugiò prima dai parenti a Bagnara Calabra, suo paese natale, e poi alle porte di Roma, vicino al suo amico discografico Tonino Coggio. Fu quest’ultimo a convincerla, nell’89, a tornare sulle scene, interpretando – proprio al Festival di Sanremo – quella “Almeno tu nell’universo” scritta per lei da Maurizio Fabrizio e Bruno Lauzi ben undici anni prima. Fu un successo. ‘ Anche alla Fonit Cetra, mia casa di quel periodo, mi trovai male. Ma in quella successiva, la Polygram, fu peggio.
Mi obbligarono a presentarmi al Festival di Sanremo del ’94 con un pezzo orrendo, perché senza il Festival, dicevano, non sapevano come fare per vendere il mio disco. Fui felice quando mi scartarono. Stracciai il contratto e me ne andai alla RTI, la quale fu costretta a pagare le mie penali alla Polygram. E’ solo l’ultima delle mie disavventure con i discografici. Una gran bella razza, non c’è che dire.
Parola di Mimì.

 
Gigi Rancilio Maggio 1995


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1 commento:

Unknown ha detto...

Grande Mia sempre nei nostri pensieri ed oltre.