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lunedì 1 aprile 2013

Franco Califano ricorda: Mia Martini? Un talento nell’indifferenza


Non riesce a nascondere il suo dolore. La voce è più roca del solito, mastica parole affidando a poche parentesi silenziose le vere, forti immagini di lei che ha ancora impresse nell'anima. Franco Califano ricorda Mia Martini, amica e cantante, senza la retorica e l'enfasi delle tristi occasioni.

Non ci legava una frequentazione assidua, anzi sono poche le occasioni nelle quali io e Mia ci siamo ritrovati vicini a parlare di musica, di quella musica che per lei era in qualche modo uno strumento di liberazione, un modo per dimenticare.

Il nostro incontro risale al ’73. Avevo appena finito di comporre Minuetto e sentii subito che si trattava di un pezzo del quale Mia Martini avrebbe colto perfettamente tutte le sfumature, la sua malinconia, la sua storia di amore disperato. Glielo affidai e Mia vinse il Festival d’ Europa e il Festivalbar. In qualche modo Minuetto segnò il suo grande successo, la nascita di un’interprete impareggiabile, che osservava il mondo e gli uomini e gli uomini con una straordinaria sensibilità.

Sono contento di aver rifatto Minuetto nel mio cd Luci della notte, come omaggio a Mimì, alla grandissima artista che è stata. Mi ricordo che all'epoca cominciò in altre mani. Tutti gli altri, oltre a Baldan Bembo che aveva scritto la musica, ci misero del testo sbagliandolo tutti. Io ero a Milano e fui chiamato per ultimo, come sempre. Mi sono fatto dare i testi sbagliati, ho visto dove hanno sbagliato ed è lì che ho azzeccato il testo, facendomi raccontare da Mimì un po’ della sua vita in quel momento. E gliel’ho scritta addosso, insomma. Ho fatto un po’ il sarto e un po’ l’artista. La parte che assomiglia di più a Mimì di questa canzone è quella centrale, dove tutti quanti avevano sbagliato ripetendo sempre la stessa parola. Io invece lì ci ho fatto il discorsivo (canta la canzone). L’attesa drammatica di una donna che aspetta il suo uomo, che arriva quando vuole. E ce ne sono di ‘machi’ che arrivano quando vogliono e se ne vanno quando vogliono.


 
Sinceramente non so da cosa fuggisse, non si confidava con me, anche se le rare che ci siamo visti lei non era mai serena. Abbiamo vissuto sempre in due mondi ben distinti ma legati comunque da una comune sensazione di emarginazione, di solitudine. Probabilmente per Mia ogni torto che subiva era una ferita vera. Diversamente da lei, la mia è stata una solitudine scelta, voluta. Mi chiedo perché in Italia i migliori talenti di qualsiasi settore ad un certo punto siano destinati a morire, a finire nell’indifferenza.
 
 
 
 
 
Poi, dopo, troppo tardi, arriva il dovuto riconoscimento. Non capisco questa frenesia di inventare sempre qualcosa di nuovo, di sfornare in continuazione giovani scoperte che magari si rivelano delle meteore. In Francia avviene esattamente l’opposto: più un artista invecchia, più lo si apprezza. Forse è vero, per me come per Mia e per altri artisti, che l’anagrafe ci ha incasellati in un’epoca sbagliata.
Nel ’90 scrissi La nevicata del ‘56 e Mia se ne innamorò subito. Lo presentò al Festival di Sanremo ottenendo il premio della critica. La sua fu un’interpretazione perfetta, dolce e nostalgica. A pensarci ora, Minuetto e La nevicata del ‘56 scandiscono la vera nascita e la più matura rinascita di Mia Martini. La sua voce? Grandissima, viscerale, sempre capace di trasformare la quiete in rabbia per ridiventare, infine, nostalgicamente arrendevole.

Autore: Leonardo Jattarelli e Vincenzo Mollica

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