“Ma davvero per uscire di prigione bisogna conoscere il legno della porta, la lega delle sbarre, stabilire l'esatta gradazione del colore? A diventare così grandi esperti, si corre il rischio che poi ci si affezioni. Se vuoi uscire, davvero di prigione, esci subito, magari con la voce, diventa una canzone.”
(Patrizia Cavalli, Poesie)
Questo omaggio è un omaggio alle canzoni e a una voce. Una voce coi graffi. Voce densa, piena di suoni densi. Una voce che ha modellato le canzoni e quelle non sono state più come prima. Chiunque le canterà non saranno più come prima. La sua voce roca e profonda è entrata in simbiosi con ogni canzone che ha interpretato. E adesso quelle canzoni sono sue. Domenica Bertè, futura Mia Martini, nasce il 20 settembre 1947 a Bagnara Calabra, e vive i suoi primi anni fra Porto Recanati e Ancona. Studia piano e danza classica e canta alle feste di piazza. A quindici anni incide il primo disco col nome di Mimì Bertè. Proprio per questo disco è notata dal settimanale Tuttomusica che la inserisce in un gruppo chiamato La Greffa. Viene invitata a partecipare come ospite giovane allo show televisivo Teatro 10 condotto da Lelio Luttazzi, dove interpreta un pezzo divertente, E adesso che abbiamo litigato. E dopo questo brillante esordio, sparisce per un pò. E' a Roma, studia lingue e si dedica anima e corpo alla musica, cantando a modo suo il repertorio di Ella Fitzgerald, di Julie Driscoll, Aretha Franklin. E quando riappare sulla scena discografica, nel 1971, nessuno più collega la ragazzina yè-yè a questo nuovo personaggio, che sfodera un repertorio d'avanguardia e un nuovo nome d'arte: Mia Martini. "Il nome l'ho voluto io, pensando alla Farrow, un mio idolo del momento. Il cognome fu scelto fra un tris di prodotti celebri italiani che potevano attirare anche il mercato internazionale. Spaghetti, pizza e Martini. Decidemmo per quest'ultimo". Ecco Mia Martini, che si presenta al primo Festival d'avanguardia e nuove tendenze di Viareggio e vince, battendo gruppi del nuovo rock come la PFM o il Banco, cantano Padre davvero. Il brano, dissacratorio, viene censurato dalla programmazione radiofonica. Il testo è ruvido, durissimo, è la storia di una ragazza in conflitto con il padre. Esplicito, senza smussature, tutto ad angoli acuti e veri. "E certo tuo padre ti diede di meno / solo due calci dietro la schiena / e con mia madre dormivi nel fieno / anche in aprile e di me era piena! / Padre, davvero sarebbe grande / sentire il parere della tua amante! / Poi sono venuta e non mi volevi / ero una bocca in più da sfamare / non sono cresciuta come speravi / e come avevo il dovere di fare! / Padre, davvero che cosa mi hai dato? / Ma continuare è fiato sprecato / che sono tua figlia, lo sanno tutti / domani i giornali con la mia foto / ti prenderanno in giro da matti / ah, non mi avessi mai generato! / Padre, davvero ma chi ti somiglia / ma sei sicuro che sia tua figlia!. Nell'aprile del 1972 incide Piccolo uomo. Il disco rimane per cinque mesi ai primi posti delle classifiche nazionali, vince l'edizione del Festivalbar (che bisserà l'anno dopo con Minuetto), diventa un successo anche in Francia, Spagna e America latina. Nell'autunno dello stesso anno partecipa alla Mostra internazionale di musica leggera di Venezia con Donna sola, strepitoso brano blues, e incide un nuovo album, Il giorno dopo. Per lei è un momento d'oro: la sua voce è un baleno di energia e novità. I testi, poco rassicuranti, sono un taglio netto rispetto alla tradizione, che vuole le voci delle interpreti femminili cantare d'amore da fiaba. Lei canta la vita sua e la vita sua è fatta anche così. E piace, vince e vende. Vince la Gondola d'oro di Venezia per le vendite del disco Donna sola, poi il referendum di Sorrisi e canzoni come miglior cantante dell'anno e il Premio della critica europea a Palma de Majorca. Ed è proprio in Spagna che la cantante inizia una stretta collaborazione con Charles Aznavour che dura tre anni e che la condurrà nel '77 ad un memorabile concerto all'Olympia. Varca le frontiere e trionfa sul mercato europeo, canadese e giapponese. Viene invitata al più prestigioso Festival di Tokyo come rappresentante italiana, e vince con Ritratto di donna. Poi di nuovo un periodo di silenzio. Il suo percorso sarà tutto così: fatto di salti improvvisi e poi silenzi. E nuove capriole di musica, ogni volta più belle. Qualche volta è lei a scrivere, più spesso sono altri, ma c'è un filo rosso che lega la scelte delle canzoni: dire la sua verità, magari piccola, magari imprecisa ma certamente aderente alla sua esperienza e al suo coraggio. Incontra Ivano Fossati e lì nasce un sodalizio (artistico e sentimentale) destinato a protrarsi per diversi anni e a produrre grandi canzoni. Nell'82 arriva la sua partecipazione al Festival di Sanremo. Non vince ma la giuria dei giornalisti, toccata dalla sua esecuzione di E non finisce mica il cielo, istituisce per lei il premio della critica. La sua presenza cambia le regole, apre strade. Obbliga a prendere atto che una canzone è un pezzo della vita di un paese, dice della sua cultura e della sua maturità d'arte. Nomina le contraddizioni e le mette in musica. Certo questo è atto faticoso. E in più il talento fa paura, la nitidezza dell'anima a ogni costo fa risultare ancora più grosse le meschinerie. Comincia un sotterraneo lavoro di ostruzione e cattiveria che lei soffre senza pari. Nello stesso anno esce Quante volte. In quell'album c'è una canzone che si chiama Stelle. Provate ad ascoltarla. Non si sa che stato d'animo vinca, se la tenerezza, il disincanto, o il candore. E' la voce sua a contenerli tutti: Ho visto gente che lottava per un soldo di fortuna / come tori caricati nell'arena / quanti feriti e quanti osannati / regine di plastica su troni di cera / stella stella che risplendi nello spazio di un sorriso / quando il buio tuo compagno ti nasconde dove vai / stelle spente vi ho incontrato qualche volta in tristi bar / e ognuno ha i suoi motivi che nessuno ascolterà. / C'è chi sopra un palcoscenico si muove con maestria / se provassi potrei farlo anch'io / ma quando è il momento mio Dio / mi sento goffa e ridicola io / la mia paura è una nota stonata / e lo sai perché non c'è niente di grande in me / io posso solo cantare per te. / Stella stella che risplendi / finché c'è la tua canzone / stella se ti senti sola / scendi giù vicino a me / stella persa e ritrovata qualche volta in tristi bar / io conosco la tua storia ma se vuoi ti ascolterò. Nell'83 Mia si diverte a regalare un 33 giri ai suoi "Compagni di viaggio", svariando fra Hendrix, Tenco, De Andrè e John Lennon. Nell'85 vorrebbe tornare a Sanremo con Spaccami il cuore, bellissimo pezzo scritto da Paolo Conte. Ma le giurie fanno una cosa assurda: bocciano la canzone in fase di preselezione. Meglio corbellerie che nessuno ricorderà piuttosto che la sua voce luccicante con la musica e le parole di uno dei più grandi autori di sempre. Sparisce dalle scene e ci vorrà molto tempo per convincerla al nuovo grande ritorno. Che arriva nell'89. Mia arriva a Sanremo con una canzone intitolata Almeno tu nell'universo : è uno shock generale, e lei rivince il premio della critica. lo stesso accade nel '90 con "La nevicata del '56. Due anni dopo canta Gli uomini non cambiano e manca per un soffio la vittoria. Poi partecipa a un disco di Roberto Murolo, altro grande della nostra musica. Provate ad ascoltare Cu'mme, provate a sentire che succede nella canzone quando entra la voce di Mia: si vola, si va in alto e quasi non importa capire cosa dica il testo perché il senso delle parole è tutto nel suo modo di cantare disperato eppure gioioso. Nel '94 incide un album di cover intitolato La musica che mi gira intorno. E' il suo ultimo capolavoro. Sono pezzi di De Andrè, di Bennato, di De Gregori e poi c'è la sua voce a restituirli nuovi. In una trasmissione tv, invitata per rendere omaggio alla sua bravura dopo troppo buio, il pubblico ascolta a bocca aperta La voce del silenzio, cavallo di battaglia di Dionne Warwick, che, affidato alle sue corde vocali, è un concentrato di meraviglia. Mia Martini muore nel maggio del 1995. Certo la meraviglia resta. Come resta il fatto che ad alcuni la strada per esprimere sé stessi riservi tanto dolore. Lei è una delle voci più intensamente belle della nostra tradizione musicale. Velluto e carta vetrata. Lei è stata bersaglio di stupidità, invidia e codardia. Il talento spesso abita dentro le anime fragili, anime che andrebbero protette, un cappotto sulle spalle quando fa freddo. Non messe ai margini. Perché quello che danno è, per tutti, un bene comune che fa migliori.Gianna Mazzini Buddismo e Società numero 117 luglio-agosto 2006
Questo omaggio è un omaggio alle canzoni e a una voce. Una voce coi graffi. Voce densa, piena di suoni densi. Una voce che ha modellato le canzoni e quelle non sono state più come prima. Chiunque le canterà non saranno più come prima. La sua voce roca e profonda è entrata in simbiosi con ogni canzone che ha interpretato. E adesso quelle canzoni sono sue. Domenica Bertè, futura Mia Martini, nasce il 20 settembre 1947 a Bagnara Calabra, e vive i suoi primi anni fra Porto Recanati e Ancona. Studia piano e danza classica e canta alle feste di piazza. A quindici anni incide il primo disco col nome di Mimì Bertè. Proprio per questo disco è notata dal settimanale Tuttomusica che la inserisce in un gruppo chiamato La Greffa. Viene invitata a partecipare come ospite giovane allo show televisivo Teatro 10 condotto da Lelio Luttazzi, dove interpreta un pezzo divertente, E adesso che abbiamo litigato. E dopo questo brillante esordio, sparisce per un pò. E' a Roma, studia lingue e si dedica anima e corpo alla musica, cantando a modo suo il repertorio di Ella Fitzgerald, di Julie Driscoll, Aretha Franklin. E quando riappare sulla scena discografica, nel 1971, nessuno più collega la ragazzina yè-yè a questo nuovo personaggio, che sfodera un repertorio d'avanguardia e un nuovo nome d'arte: Mia Martini. "Il nome l'ho voluto io, pensando alla Farrow, un mio idolo del momento. Il cognome fu scelto fra un tris di prodotti celebri italiani che potevano attirare anche il mercato internazionale. Spaghetti, pizza e Martini. Decidemmo per quest'ultimo". Ecco Mia Martini, che si presenta al primo Festival d'avanguardia e nuove tendenze di Viareggio e vince, battendo gruppi del nuovo rock come la PFM o il Banco, cantano Padre davvero. Il brano, dissacratorio, viene censurato dalla programmazione radiofonica. Il testo è ruvido, durissimo, è la storia di una ragazza in conflitto con il padre. Esplicito, senza smussature, tutto ad angoli acuti e veri. "E certo tuo padre ti diede di meno / solo due calci dietro la schiena / e con mia madre dormivi nel fieno / anche in aprile e di me era piena! / Padre, davvero sarebbe grande / sentire il parere della tua amante! / Poi sono venuta e non mi volevi / ero una bocca in più da sfamare / non sono cresciuta come speravi / e come avevo il dovere di fare! / Padre, davvero che cosa mi hai dato? / Ma continuare è fiato sprecato / che sono tua figlia, lo sanno tutti / domani i giornali con la mia foto / ti prenderanno in giro da matti / ah, non mi avessi mai generato! / Padre, davvero ma chi ti somiglia / ma sei sicuro che sia tua figlia!. Nell'aprile del 1972 incide Piccolo uomo. Il disco rimane per cinque mesi ai primi posti delle classifiche nazionali, vince l'edizione del Festivalbar (che bisserà l'anno dopo con Minuetto), diventa un successo anche in Francia, Spagna e America latina. Nell'autunno dello stesso anno partecipa alla Mostra internazionale di musica leggera di Venezia con Donna sola, strepitoso brano blues, e incide un nuovo album, Il giorno dopo. Per lei è un momento d'oro: la sua voce è un baleno di energia e novità. I testi, poco rassicuranti, sono un taglio netto rispetto alla tradizione, che vuole le voci delle interpreti femminili cantare d'amore da fiaba. Lei canta la vita sua e la vita sua è fatta anche così. E piace, vince e vende. Vince la Gondola d'oro di Venezia per le vendite del disco Donna sola, poi il referendum di Sorrisi e canzoni come miglior cantante dell'anno e il Premio della critica europea a Palma de Majorca. Ed è proprio in Spagna che la cantante inizia una stretta collaborazione con Charles Aznavour che dura tre anni e che la condurrà nel '77 ad un memorabile concerto all'Olympia. Varca le frontiere e trionfa sul mercato europeo, canadese e giapponese. Viene invitata al più prestigioso Festival di Tokyo come rappresentante italiana, e vince con Ritratto di donna. Poi di nuovo un periodo di silenzio. Il suo percorso sarà tutto così: fatto di salti improvvisi e poi silenzi. E nuove capriole di musica, ogni volta più belle. Qualche volta è lei a scrivere, più spesso sono altri, ma c'è un filo rosso che lega la scelte delle canzoni: dire la sua verità, magari piccola, magari imprecisa ma certamente aderente alla sua esperienza e al suo coraggio. Incontra Ivano Fossati e lì nasce un sodalizio (artistico e sentimentale) destinato a protrarsi per diversi anni e a produrre grandi canzoni. Nell'82 arriva la sua partecipazione al Festival di Sanremo. Non vince ma la giuria dei giornalisti, toccata dalla sua esecuzione di E non finisce mica il cielo, istituisce per lei il premio della critica. La sua presenza cambia le regole, apre strade. Obbliga a prendere atto che una canzone è un pezzo della vita di un paese, dice della sua cultura e della sua maturità d'arte. Nomina le contraddizioni e le mette in musica. Certo questo è atto faticoso. E in più il talento fa paura, la nitidezza dell'anima a ogni costo fa risultare ancora più grosse le meschinerie. Comincia un sotterraneo lavoro di ostruzione e cattiveria che lei soffre senza pari. Nello stesso anno esce Quante volte. In quell'album c'è una canzone che si chiama Stelle. Provate ad ascoltarla. Non si sa che stato d'animo vinca, se la tenerezza, il disincanto, o il candore. E' la voce sua a contenerli tutti: Ho visto gente che lottava per un soldo di fortuna / come tori caricati nell'arena / quanti feriti e quanti osannati / regine di plastica su troni di cera / stella stella che risplendi nello spazio di un sorriso / quando il buio tuo compagno ti nasconde dove vai / stelle spente vi ho incontrato qualche volta in tristi bar / e ognuno ha i suoi motivi che nessuno ascolterà. / C'è chi sopra un palcoscenico si muove con maestria / se provassi potrei farlo anch'io / ma quando è il momento mio Dio / mi sento goffa e ridicola io / la mia paura è una nota stonata / e lo sai perché non c'è niente di grande in me / io posso solo cantare per te. / Stella stella che risplendi / finché c'è la tua canzone / stella se ti senti sola / scendi giù vicino a me / stella persa e ritrovata qualche volta in tristi bar / io conosco la tua storia ma se vuoi ti ascolterò. Nell'83 Mia si diverte a regalare un 33 giri ai suoi "Compagni di viaggio", svariando fra Hendrix, Tenco, De Andrè e John Lennon. Nell'85 vorrebbe tornare a Sanremo con Spaccami il cuore, bellissimo pezzo scritto da Paolo Conte. Ma le giurie fanno una cosa assurda: bocciano la canzone in fase di preselezione. Meglio corbellerie che nessuno ricorderà piuttosto che la sua voce luccicante con la musica e le parole di uno dei più grandi autori di sempre. Sparisce dalle scene e ci vorrà molto tempo per convincerla al nuovo grande ritorno. Che arriva nell'89. Mia arriva a Sanremo con una canzone intitolata Almeno tu nell'universo : è uno shock generale, e lei rivince il premio della critica. lo stesso accade nel '90 con "La nevicata del '56. Due anni dopo canta Gli uomini non cambiano e manca per un soffio la vittoria. Poi partecipa a un disco di Roberto Murolo, altro grande della nostra musica. Provate ad ascoltare Cu'mme, provate a sentire che succede nella canzone quando entra la voce di Mia: si vola, si va in alto e quasi non importa capire cosa dica il testo perché il senso delle parole è tutto nel suo modo di cantare disperato eppure gioioso. Nel '94 incide un album di cover intitolato La musica che mi gira intorno. E' il suo ultimo capolavoro. Sono pezzi di De Andrè, di Bennato, di De Gregori e poi c'è la sua voce a restituirli nuovi. In una trasmissione tv, invitata per rendere omaggio alla sua bravura dopo troppo buio, il pubblico ascolta a bocca aperta La voce del silenzio, cavallo di battaglia di Dionne Warwick, che, affidato alle sue corde vocali, è un concentrato di meraviglia. Mia Martini muore nel maggio del 1995. Certo la meraviglia resta. Come resta il fatto che ad alcuni la strada per esprimere sé stessi riservi tanto dolore. Lei è una delle voci più intensamente belle della nostra tradizione musicale. Velluto e carta vetrata. Lei è stata bersaglio di stupidità, invidia e codardia. Il talento spesso abita dentro le anime fragili, anime che andrebbero protette, un cappotto sulle spalle quando fa freddo. Non messe ai margini. Perché quello che danno è, per tutti, un bene comune che fa migliori.Gianna Mazzini Buddismo e Società numero 117 luglio-agosto 2006
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