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sabato 14 marzo 2009

Mia Martini: Canto per comunicare col cielo e qualche volta sento di riuscirci


Ci sembra stimolante uno studio sulla figura dell’immensa artista di Bagnara, sulla sua arte, sulla sua storia di donna segnata da grandi successi, ma anche da contraddizioni e sofferenze. Uno spettacolo che racconti la storia di una donna di Calabria, capace di emergere dall’anonimato grazie alla sue straordinarie capacità e alla sua rabbiosa sensibilità interpretativa. Una donna, che nel momento in cui il suo mondo, il mondo della musica, stupidamente assecondando superstizioni e maldicenze, l’abbandona, la rifiuta, la scaccia via, riesce, proprio ritornando alle sue radici di “bagnarota”, di donna di Calabria, a risalire la china, lentamente, ma sempre con viscerale determinazione , e a ritornare ad essere, prima del suo tragico epilogo, una delle più intense interpreti, dell’universo “musica leggera”, del novecento.

Battiti e fiati sospesi in emozione di sempre prima volta di morbide labbra
Battiti e fiati sospesi su palcoscenico d’incontri
Voce di graffio Voce di ferita
Vita in melodia Vita di dolcezza infinita dipinta
Risate di canto segnate Risate Singhiozzi urlati
Grandi occhi neri che chiamano vita
Grandi occhi neri che negano pudore
Mano alla mano ti regalo il segreto del mare
Mano alla mano semplicemente mano alla mano
Neve di lamiere
Neve d’ascolto
Viaggio di tempo scolpito
Viaggio di fragile arte che incontra
Viaggio cicacitrice su ossa di cuore



Con Mia Martini. Una donna. Una storia., Teatro Rossosimona continua la sua ricerca teatrale occupandosi, ancora una volta, di figure femminili e, soprattutto, di donne calabresi. Ricerca è qui da intendersi come lunga operazione di scavo, meticoloso lavoro d’approfondimento e d’attento studio rivolto verso vite spesso dimenticate o, in questo caso, troppo facilmente ridotte a leggenda metropolitana, a storiella di quartiere, a chiacchiera nazionale. Ed è toccata proprio a Mia Martini, in realtà Domenica Bertè, la sorte d’essere una di quelle figure “popolari” ricordate, quasi esclusivamente, per aneddoti e ingiurie che esulano da ogni tipo di verità, fondamento e giustificazione, e che hanno la sciocca pretesa, inoltre, di sintetizzare sbrigativamente la stessa con giudizi banali e frasi tanto superficiali quanto lapidarie. Muovendo da queste motivazioni, oltre che dal fascino per questa cantante calabrese di rara sensibilità e perfezione tecnica, si è voluto affrontare un percorso che tenesse conto, per quanto possibile, dell’intera vicenda personale, consci del fatto che un’artista, in special modo un’interprete eccezionale come la Martini, non può essere isolata dal suo contesto formativo, dall’ambiente familiare, dagli affetti, dai suoi amori e dalle sue sofferenze. Si è deciso di sondare la terra d’origine, d’ascoltare le radici, così da poter meglio rintracciare le fratture, i salti, le cadute e le risalite, per avere un quadro decisamente più completo e adatto a descrivere, in un iter drammaturgico che va dall’infanzia alla morte, un’ esperienza umana straordinaria sia in positivo che, purtroppo, in negativo. Un’infanzia, quella di Mimì, avvolta dal mare viola di Bagnara Calabra coi suoi gabbiani, dai cori delle bagnarote al mercato, dai primi suoni e canti che la madre Maria Salvina le instillò nelle orecchie e nel cuore. Ma anche dalla rigidità del padre, dal clima di tensione interna alla famiglia che Mia, assieme alle sorelle Leda, Loredana e Olivia, fu costretta a subire e che inevitabilmente portò alla rottura matrimoniale e familiare, causando ferite mai superate e sanate. Quindi la voglia e la determinazione di Mia ad intraprendere la carriera di cantante - sicura com’era di avere una voce fuori dal normale, potente, solare e piena di sfumature uniche - la portano ad affrontare, ancora ragazzina, il provino a Milano, e da lì i primi successi e le prime difficoltà, come la carcerazione in Sardegna, evento che le permise, nonostante tutto, una forte presa di coscienza, favorendo il riavvicinamento con il padre, oltre che con Dio. Così da incontrare il vero successo con canzoni come Piccolo uomo e Minuetto, i vari festival e concerti in tutta Italia, successi che le due zie bagnarote, zia Sarina e zia Melina, interpretano come rivincite personali della nipote, nei confronti d’un periodo non troppo felice e d’un ambiente già colmo d’invidie e risentimenti. Poi l’incontro con Ivano Fossati, il sodalizio artistico e il loro amore dirompente, pieno di passione rovente, relazione che coincide con il periodo più scuro e doloroso che Mia dovette affrontare, ossia quello dell’accusa infamante di jettatrice, di “porta sfiga”, insinuazione che ben presto, partita da ambienti artistici, si propaga per addivenire refrain assiduo e cantilena acida ripetuta un po’ ovunque, provocando incredibili effetti, tanto nocivi per la sua carriera e, soprattutto, per la sua vita. Vita, questa, messa sul rogo della cattiveria gratuita e della superstizione retrograda, dove Mia, inerte e pubblicamente condannata, novella Giovanna d’Arco, risulta essere il capro espiatorio d’una società bigotta e insulsa, sempre intenta alla ricerca esterna delle “streghe”, pur di non vedere quanto essa stessa sia mostruosamente malefica. Per arrivare, infine, alla rottura violenta e feroce con Ivano Fossati e l’avvento della depressione come nuova compagna di vita, l’amicizia sincera col musicista Toto Torquati, il rapporto burrascoso con Loredana Bertè, gli altri successi quali Almeno tu nell’universo e Gli uomini non cambiano, altri insuccessi, nuove voci e nuove accuse, che porteranno, anche dopo la sua morte prematura - fu trovata sul letto ancora con le cuffie, nata e morta tra le note - a prolungare la grottesca serie di favole e dicerie infamanti che condizionarono e caratterizzarono l’intera esistenza di Mia Martini. Una storia tutt’altro che monotona, banale, superficiale, una vita profonda, piena sia di baratri che di luci, d’una donna sempre alla ricerca dell’amore, non importa se felice o infelice, “basta solo che sia un amore”.

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