Vogliamo riproporre un articolo di anni fa scritto proprio da Mauro Coruzzi, quando ancora non era Platinette.
Povera Mimì, così triste e sola. Ci siamo conosciuti nel ‘75, vent’anni fa, in una balera della Bassa. Lei era una grande stella e ricordo indossava un pomposissimo abito bianco tempestato di perline: era il periodo della gran signora, dell’Olympia in Francia e delle serate di giro nella provincia italiana, mentre l’ultima volta che l’ho vista, qualche giorno fa, aveva come sempre in questi anni i morbidi pantaloni Armani con cui cercava di nascondere le gambe non proprio bellissime.
Stavamo preparando una trasmissione radiofonica che la sua casa discografica avrebbe poi distribuito alle emittenti, era presissima dall’idea di fare la conduttrice alla radio, di poter finalmente conversare con il pubblico, di intervistare altri personaggi famosi. Eppure, dietro tanto attivismo, tanta energia, Mimì era una donna davvero sola e profondamente infelice: poche storie d’amore e una, la più importante, lunghissima e finita con le botte, mentre lei andava a cantare a Sanremo.
Da allora, e sono passati più di dieci anni, Mimì ha avuto bassi profondissimi: aveva cercato rifugio in Umbria, dalla quale era fuggita poco tempo fa per andare a vivere a Milano in un residence, prima di fuggire anche da lì per tornare in campagna; ci sono stati periodi lunghi in cui nessuno ha potuto (molti nemmeno voluto) avvicinarla, e poi, straordinario, il ritorno al lavoro, alla fine degli anni ’80 con Almeno tu nell’universo, in cui forse per la prima volta senza vergogna, esibiva quella voce rauca, contaminata da una malattia che per lungo tempo le aveva come paralizzato le corde vocali e che era così diversa da quella argentina degli esordi.
Ma Mimì era fatta così, somatizzava il dolore fino a ferire il proprio corpo, e da quella fine di un amore non si era più ripresa. Aveva la percezione che, per quanto potesse fare, la vita non le avrebbe offerto un’altra possibilità come quella e si comportava come se per lei non ci fosse futuro su cui investire, terra dove andare.
Non aveva un carattere facile e lavorare con lei richiedeva nervi d’acciaio, perché era instabile d’umore e come tutte le primedonne autentiche tendeva ad avere sempre ragione; eppure dietro quella diffidenza verso il mondo, nascondeva un’improvvisa fragilità, come quando poche settimane fa, svegliandomi nella notte, perché lei non dormiva e quando dormiva dormiva male, mi chiese il numero di telefono di una presentatrice della tv perché voleva ringraziarla di una cosa bella detta su di lei. Mimì era così sola: da non poterne più di cantare La costruzione di un amore, che ogni volta le strappava l’anima, o ma non finisce mica il cielo, diceva che il pubblico era stanco (assolutamente falso) di queste sue scelte artistiche.
Mina, la grande Mina, le aveva proposto di cantare insieme e Mimì non vedeva l’ora di cominciare, perché nel lavoro trovava pace, mentre dentro, qualcosa, ogni giorno, piano moriva, fino a ieri, quando non ce l’ha fatta più.
Stavamo preparando una trasmissione radiofonica che la sua casa discografica avrebbe poi distribuito alle emittenti, era presissima dall’idea di fare la conduttrice alla radio, di poter finalmente conversare con il pubblico, di intervistare altri personaggi famosi. Eppure, dietro tanto attivismo, tanta energia, Mimì era una donna davvero sola e profondamente infelice: poche storie d’amore e una, la più importante, lunghissima e finita con le botte, mentre lei andava a cantare a Sanremo.
Da allora, e sono passati più di dieci anni, Mimì ha avuto bassi profondissimi: aveva cercato rifugio in Umbria, dalla quale era fuggita poco tempo fa per andare a vivere a Milano in un residence, prima di fuggire anche da lì per tornare in campagna; ci sono stati periodi lunghi in cui nessuno ha potuto (molti nemmeno voluto) avvicinarla, e poi, straordinario, il ritorno al lavoro, alla fine degli anni ’80 con Almeno tu nell’universo, in cui forse per la prima volta senza vergogna, esibiva quella voce rauca, contaminata da una malattia che per lungo tempo le aveva come paralizzato le corde vocali e che era così diversa da quella argentina degli esordi.
Ma Mimì era fatta così, somatizzava il dolore fino a ferire il proprio corpo, e da quella fine di un amore non si era più ripresa. Aveva la percezione che, per quanto potesse fare, la vita non le avrebbe offerto un’altra possibilità come quella e si comportava come se per lei non ci fosse futuro su cui investire, terra dove andare.
Non aveva un carattere facile e lavorare con lei richiedeva nervi d’acciaio, perché era instabile d’umore e come tutte le primedonne autentiche tendeva ad avere sempre ragione; eppure dietro quella diffidenza verso il mondo, nascondeva un’improvvisa fragilità, come quando poche settimane fa, svegliandomi nella notte, perché lei non dormiva e quando dormiva dormiva male, mi chiese il numero di telefono di una presentatrice della tv perché voleva ringraziarla di una cosa bella detta su di lei. Mimì era così sola: da non poterne più di cantare La costruzione di un amore, che ogni volta le strappava l’anima, o ma non finisce mica il cielo, diceva che il pubblico era stanco (assolutamente falso) di queste sue scelte artistiche.
Mina, la grande Mina, le aveva proposto di cantare insieme e Mimì non vedeva l’ora di cominciare, perché nel lavoro trovava pace, mentre dentro, qualcosa, ogni giorno, piano moriva, fino a ieri, quando non ce l’ha fatta più.
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