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domenica 6 giugno 2010

Mimì e il fascino dell'improvvisazione: Mia Martini in jazz



Ravenna. Ancora una sfida, vissuta questa volta a metà strada tra l'estetica rarefatta del jazz e la passionalità della canzone italiana: Mia Martini la affronta con l'entusiasmo di sempre, con quella voglia di mettersi alla prova che ha trasformato il casuale incontro di due musicisti in un elettrizzante menàge artistico.




Tutto è nato da un invito dei responsabili della Gala Records, ricorda Mimì, che avevano in cantiere un'antologia dedicata a Lucio Battisti con la partecipazione di grandi nomi del jazz affiancati dalle migliore voci del panorama italiano. Non ho nemmeno avuto l'imbarazzo della scelta: le registrazioni erano quasi completate e rimaneva da provare "Pensieri e parole". Maurizio Giammarco stava lavorando proprio su qualla canzone, e così ci siamo trovati a dividere una passione in comune.
 
Qual'è la difficoltà maggiore nel trasportare in chiave jazz la melodia della canzone cosiddetta pop?
E' convincere i jazzisti a suonare come voglio io! Sherzi a parte, al di là dei tentativi di che lasciano il tempo che trovano, il segreto sta nel conservare ciascuno la propria identità e trasferire il dialogo sul piano della provocazione.

Dal disco al concerto, come si è sviluppata la collaborazione con Giammarco?
Maurizio si è occupato di tutti gli arrangiamenti, che trovo veramente bellissimi. Io, del resto, sono affascinata dal suo mondo musicale, dalla sua personalità di interprete, e cerco nel mio piccolo di seguire tutto quello che inventa. In pratica gli rifaccio il verso, che è poi quello che lui vuole da me. Ma cerco di mantenere un certo equilibrio con la mia impostazione, che non ha nulla del jazz, e che non voglio spacciare come tale. Non ho la presunzione di improvvisare uno scat, sarebbe come prendere in giro Sarah Vaughan e Ella Fitzgerald. Al contrario ascolto con molta attenzione, perchè voglio imparare ad amare sempre di più questo mondo di sensazioni per me completamente nuovo.

Prospettive diverse, quindi, ma repertorio in buona parte familiare, con alcune digressioni anche nel pop dei Beatles.
Ma sempre con un occhio di riguardo per il jazz. Nel caso di "Come together" ho semplicemente confermato una scelta compiuta anni fa, quando ho voluto rendere omaggio a John Lennon ed alle mie radici mettendo quella canzone nel programma dei concerti. Ne era venuta fuori una versione ibrida, vagamente jazz ma con una buona dose di rock. Stavolta invece la suono insieme a jazzisti veri, che non devono marcare ciò che già appartiene loro. Forse ero più a mio agio prima, ma le situazioni troppo comode, purtroppo, non mi danno pace.


Roberto Burnacci luglio 1991


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