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venerdì 23 gennaio 2009

Incanta la voce di Mia Martini. A Taormina la cantante calabrese che meriterebbe ben altra carriera




Mettete innanzitutto la struggente tristezza di Edith Piaf; aggiungete in parti uguali le ruvide ma seducenti sonorità di Billie Holiday, le graffianti, nervose, irascibili impennate di Janis Joplin, la voce drammatica e potente, densa di pieghe affascinanti di Emmylou Harris, l’incisività di Carole King e amalgamate il tutto col soul rarefatto e vibrante di Aretha Franklin.

 Ecco il “cocktail Martini” (Mia), frizzante, eccitante, che concede facili estasi e coscienti abbandoni, che ammalia ed esalta con la discrezione di chi, bon grè mal gré, ha dovuto fare di esperienza di vita un target artistico. Mia Martini è la più grande interprete vocale italiana. Convincimento, non recente e non solo mio, che nella parabola di questa cantante non trova riscontro nel successo, inteso come possibilità che ha un’artista che merita (ai livelli ai quali attinge la cantautrice di Bagnara Calabra) di vendere dischi come fossero saponette e di avere un trend più uniforme.
Il riscontro della realtà è bugiardo e fuorviante e confina Mia Martini in un ruolo che non le compete ma che è proprio delle meteore stagionali, di quelle starlette che l’astuto business discografico crea con la stessa facilità con cui si beve un bicchiere d’acqua in una giornata di afa. Se Mia Martini avesse avuto la fortuna di aver passaporto americano oggi sarebbe osannata, fondamentale presenza in qualsiasi fatto artistico che voglia prescindere da quelli di moda, avrebbe un pubblico più vasto, costante. Non soffrirebbe di alti e bassi, non rimarrebbe otto anni in disparte come chi non ha titolo nemmeno di vedere le luci della ribalta. E’ l’assurda ambiguità dell’Italia musicale, esterofila oltre ogni decenza, prede delle multinazionali, del pentagramma che soffocano, pilotano, decidono. Crisi della creatività? Mancanza di talenti? Inflazione, solo e semplicemente inflazione. E paghiamo un pesante pedaggio. E, quindi, quando capita di potere ascoltare live Mia Martini non è occasione da lasciar perdere: Mia Martini non è artista con un repertorio di facile presa, le sue canzoni, o quelle che lei interpreta, hanno bisogno di essere gustate, meditate, assimilate, non ammiccano alla musica di facile consumo.
Il suo concerto è stato un autentico capolavoro di delicatezza e di tante altre sensazioni strabilianti; la sua penna è preziosa, il gusto semplice e schietto di umori prettamente bluesistici, con melodie efficaci e incastri ritmici tipici di certa raffinata musica leggera, si fonde completamente con gli spunti del quotidiano, unito quindi a testi che trattano anche il più sciocco momento della giornata ma che più spesso (come in “Stelle”, non dichiaratamente autobiografico ma descrittivo d’una Mia Martini che non si trova a dover recitare il ruolo di comparsa sulla scena della musica italiana) porta il fardello di esperienze vissute sulla propria pelle di donna e di artista.

Da Randy Newman, a Kate Bush, dai Beatles a Vinicius De Moraes con in mezzo tantissimo repertorio italiano (suo in particolare) Mia Martini, quale che sia la lingua cantata, assurge a vette altissime; la sua è “musica dell’anima”, un soul che rimanda ai bluesmen d’altra epoca, che ci consegna una Mia Martini indomita e ribelle ma anche patetica e sofferente, scatenata e libera d’immolarsi in un crescendo di proposte, con la voce rauca che sibila i blues, arcaici od elettrici, ma allo stesso tempo eterea ed appassionata, capace di slanci unici, triste e bisognosa d’affetto. Di certo un personaggio atipico, istintivo, poco attento al business per potere fare quello di cui ha veramente voglia. Un vulcano inarrestabile della musica leggera italiana, “Almeno tu nell’universo”, cara Mia, ci consenti di riappacificarci con le nostre radici.
Renato Cortimiglia Gazzetta del Sud agosto 1989



Il video di "Stelle" 1989
http://www.youtube.com/watch?v=LaRRnrILkgA

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http://questimieipensieri.blogspot.com/2010/01/lebbrezza-del-successo-dopo-il-lungo.html

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