Alessandro Wagner ha realizzato negli anni '80 una intervista inedita a Mia Martini in cui lei parla con franchezza del suo rapporto turbolento con le case discografiche. Si sofferma anche sugli esordi legati al periodo in cui faceva la gavetta con sua sorella Loredana e Renato Zero e lo fa con ironia e spiccato senso dell' humour.
Nella tua carriera hai dovuto cambiare spesso case discografiche. Come artista hai questo record.....
°°Il mio matrimonio con alcune case discografiche è andato male, io non riuscirei mai senza amore a stare vicino ad un uomo, nella stessa maniera non posso lavorare con delle persone senza amore e senza essere capita. Io sono, credo, abbastanza artista, abbastanza sensitiva, abbastanza sanguigna per certe cose, non posso lavorare, cioè timbrare il cartellino ed andare, questo tipo di lavoro è talmente strano che, se non ti trovi bene, se non ti capisci, se non parli lo stesso linguaggio con le persone che lavorano con te, non si può fare…
…In Italia, purtroppo, c’è questa malattia terribile che è il non professionismo, il dilettantismo, il vivere oggi per oggi e domani per domani, senza riuscire a programmare delle cose, a considerare questo come un lavoro serio. Tutti lo considerano come un hobby, mentre succede che gli artisti credano in questa cosa e le persone che stanno dietro sfruttano la situazione per cui loro dicono: ‘tanto l’artista, senza di me che ho in mano il potere, non esiste, io guadagno dei soldi dietro al tuo lavoro, perché ti faccio credere delle cose che non esistono…Questo, purtroppo, è il sistema di lavorare di tutti in Italia che ha colpito non soltanto me. Io ero abbastanza ingenua e sono caduta facilmente in questa trappola, ma vedo anche altri cantanti, altri artisti che stanno tutti nella stessa situazione per cui evidentemente gli addetti ai lavori, quelli che si servono degli artisti, sono persone senza scrupoli che si servono di te soltanto per avere il loro interesse per guadagnare e quando arriva il momento in cui tramonti non è un problema per loro, tu sei considerato come una saponetta, ti buttano via e ne costruiscono un’altra, non gliene frega niente, neanche ti considerano umanamente.
Mi dispiace per il pubblico che in determinati momenti, quando hai questi problemi così gravi, non sa quello che ti sta succedendo, non gli si può fare una colpa se poi si dimentica di te. Quando arriva il momento giusto, se sei un personaggio forte, il pubblico che hai perso prima, lo ritrovi soprattutto se hai seminato le basi.
Attraversare dei periodi di crisi, comunque, è importantissimo, se tu hai avuto una vita molto facile puoi essere tutto tranne che un’artista, o almeno puoi esserlo potenzialmente, perché non hai la sofferenza adatta, perché soffrire è amare, soffrire è riuscire, per rabbia o per dolore, o per una questione di sopravvivenza, a tirare fuori quello che hai dentro. Quando non soffri e sei una persona felice, sei felice e basta, non riesci a produrre e le cose non puoi farle, o per pigrizia o perché credi di stare bene, allora non puoi trasmettere certe emozioni. Se sei una persona che soffri, produci e in ogni caso sei un artista. Il mio vissuto di sofferenza è un tutt’uno con il mio essere artista, non potrei mai cantare delle cose che non provengono dal di dentro, che non mi diano grosse emozioni.
Tu hai iniziato con Renato Zero e Loredana Bertè. Nel ’75 sei stata ospite a ‘Voi ed io’ insieme a Renato e hai raccontato di alcune vostre peripezie. Ci racconti qualche aneddoto?
°°Te ne racconto uno che forse neanche Renato e Loredana si ricordano. Noi avevamo appena cominciato la nostra carriera. Loredana era la più bella di tutti noi. Se mi mettevo io per la strada a fare l’ autostop non si fermava nessuno, se si metteva Loredana, c’era la coda. Noi viaggiavamo tutti e tre insieme ed eravamo senza una lira, distrutti. Io e Renato avevamo delle idee abbastanza precise, cioè quella di cantare; Loredana aveva intenzione di fare qualsiasi cosa, sempre nel campo dell’arte. Lei, infatti, ha cominciato in teatro, poi col ballo, alla musica c’è arrivata dopo. Renato ed io abbiamo cominciato subito il discorso musicale. Eravamo partiti tutti e tre all’avventura. Loredana lavorava, perché era l’unica che faceva qualcosa in teatro e in tv era una delle ‘collettine’ che accompagnavano Rita Pavone, io mi davo da fare con lavori all’uncinetto. Un giorno, mentre Loredana era impegnata a fare dei Caroselli, Renato ed io abbiamo incontrato una signora che si chiamava Pisan e che ci aveva detto: ‘siete fortissimi, adesso vi voglio produrre e lanciare, vi porto a Milano’. Partiamo, arriviamo a Milano, ci porta in un albergo pazzesco, perché noi non avevamo mai visto una cosa del genere, a parte qualche pensione proprio molto scadente. Renato ed io eravamo vestiti uguali, cioè Renato si vestiva come me, io avevo una bombetta in testa e un mantello nero, Renato pure lui con questo mantello che sembrava una gonna lunghissima e la bombetta in testa. La signora, quando giravamo per le strade e andavamo alle case discografiche per fare i provini, andava avanti perché si vergognava di farsi vedere con noi. La gente per strada ci diceva delle cose non belle, questo succedeva regolarmente, puoi immaginare tanti anni fa, parlo dei tempi in cui andava di moda Orietta Berti. Io cantavo allora, facevo delle cose assieme a Renato, avevo già cominciato a scrivere, presentavamo pezzi nostri , che erano su per giù le stesse cose che avremmo cantato dopo. Soltanto, appunto, presentate allora in un contesto talmente particolare, sembravano delle cose talmente fuori tempo, con noi vestiti in questo modo, con l’anello al naso, puoi immaginare cosa ci dicevano.. Per cui la signora andava avanti, facendo finta di non conoscerci. Ci pagava l’ albergo, mi ricordo, perché eravamo senza una lira e cercava di piazzare, invano, qualcuno di noi nelle varie case discografiche. Andava tutto bene, fino a quando lei si dimenticava che dovevamo anche mangiare.
Un giorno, ci dice che deve andare a parlare con Radaelli per organizzare il Festival delle Rose, che si sarebbe fermata tutto il giorno con lui. Noi ci siamo vergognati a dire che avevamo fame e al solo pensiero che avremmo dovuto aspettare fino al giorno dopo, ci siamo sentiti morire, anche se non abbiamo avuto il coraggio di parlare. Questa se ne è andata bella, pimpante e noi siamo rimasti lì in questo albergo di lusso, dove non avevamo neanche il coraggio di ordinare un panino. Ci mettiamo giù nella hall, io con un cappello pazzesco dalle falde larghe e Renato vestito come me, solo che allora non lo conosceva nessuno, quindi puoi immaginare che effetto faceva, in questo posto frequentato da industriali, gente abbastanza seria. Ci sediamo, l’unica cosa che non pagavamo e non ci mettevano nel conto erano gli alcolici. Ti premetto che io ero astemia e non potevo bere, però era talmente la fame che ci siamo messi a bere, per cui all’ora di pranzo eravamo completamente ubriachi, con una fame incredibile e la Pisan che non si vedeva proprio….. Fortunatamente uno di questi industriali mi ha notata – bontà sua, perché io ero un ‘cesso’ terribile, brutta e grassa. Così abbiamo risolto il problema…
Intervista inedita di Alessandro Wagner concessa a Chez Mimì
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